#LoFaccioPerché, Decathlon ricorda all’Italia perché i lettori sono una minoranza

Il post col quale Decathlon spiega la rimozione della campagna #LoFaccioPerché in campo non servono libri

Il post col quale Decathlon spiega la rimozione del claim #LoFaccioPerché in campo non servono libri

I libri per tirare due calci a un pallone non servono. O almeno, così la pensano a Decathlon Italia che ha approvato un claim all’interno della sua campagna comunicativa estiva 2016 #LoFaccioPerché che riporta questo messaggio: #LoFaccioPerché in campo non servono libri. Se volete un ottimo riassunto della polemica scatenatasi sui social network in seguito a un tweet del digital media specialist Davide Borgo e alle proteste degli amanti della lettura in Italia lo trovate su Bookblister: “Epic Fail Decathlon!” a firma di Chiara Beretta Mazzotta. Tanto tuonò la minoranza di lettori italiani che la catena di negozi di abbigliamento e attrezzature sportive capita la malaparata è arrivata a rimuovere la pubblicità spiegandone i motivi su Facebook.

Tuttavia, vi sembra normale che siano stati i lettori e le lettrici italiani a protestare? Come mai i calciatori e gli sportivi in generale non hanno dato di matto dopo un messaggio che pare di capire contrapponeva “sport e cultura”? Forse perché appena l’un per cento dei calciatori sono laureati? Quel che l’indignazione dei lettori nasconde è che l'”Italia […] ha un problema con i libri” come scrive Gabriele Ferraresi su Daily Best commentando la vicenda; quel che dimentichiamo è che davvero in campo non servono libri perché l’atleta prima di tutto deve dedicare il suo tempo ad allenarsi, altrimenti come spiegare questa frase: “Quello che oggi abbiamo capito – spiega la ministro Giannini – è che formazione e attività fisica non sono incompatibili” in merito a un progetto del MIUR per arginare la dispersione scolastica di chi pratica sport a livello agonistico (la Stampa, 02/02/2016).

Persino i francesi si fanno beffe di noi per la reazione sproporzionata dei lettori italiani – “Decathlon se fait incendier : au moins sur un terrain de foot, on n’a pas besoin de livres” (Nicolas Gary su ActuaLitté) – a questa campagna. Se non crediamo che sia vera allora perché le ironie sui calciatori ignoranti o perché per anni è stata la norma sganasciarsi ascoltando gli strafalcioni del Trap (ex calciatore oltre che allenatore) a “Mai dire Gol”? Il giocatore del Chievo e della Sampdoria Christian Puggioni studente in Giurisprudenza ricordava ad Alessandra Gozzini della Gazzetta dello Sport: “E c’è anche chi mi disse che i miei libri in ritiro non erano graditi: non dovevo studiare, ma solo concentrarmi sulla partita”.

“Il successo sportivo azzurro e la scuola (ancora) contro” è un titolo di Vanity Fair a un pezzo di Chiara Pizzimenti che non dovrebbe farci inorridire? Farci gridare che non è vero? Eppure abbiamo aspettato questo secolo per fare sul serio con i licei a indirizzo sportivo – oggi richiestissimi ma insufficienti per numero a quanto sembra, vedi “Licei sportivi, boom di richieste ma a Milano i posti sono limitati” (Calcio e finanza, 30/03/2016) – e dagli statunitensi abbiamo copiato tanto ma non l’accoppiata sport-istruzione che negli USA è stata anche un importante veicolo d’integrazione. Siamo ancora in tempo a interrompere il cortocircuito sport-libri-istruzione a tutto vantaggio di chi ama la lettura e lo sport, rendiamoci conto che indignarsi non basta però.

Immagine | Facebook

1 Commento

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Una risposta a “#LoFaccioPerché, Decathlon ricorda all’Italia perché i lettori sono una minoranza

  1. Chiara Beretta Mazzotta

    Luca, nella locandina non ci sono Totti o Cassano che giocano al pallone. Ci sono bambini. E anche chi non ha figli alla scuola calcio sa che, se prendi brutti voti, non giochi. Insomma ci provano insegnanti, allenatori e genitori a tenere insieme sport e cultura. È un lavoro che conosco, difficile e insidioso, perché deve scontrarsi con il dato reale. Basta saper calciare, mica serve leggere. Basta avere le tette, mica serve cervello.
    Allora potevano fare una pubblicità in cui si diceva che basta pagare per calciare il pallone (o meglio stare in panchina, ma che importa). O che nessuno dei bambini che comprerà una maglia da Decathlon diventerà un calciatore, perché i dati a questo proposito sono spaventosi (ti consiglio di leggere il libro di Luca Vargiu). Mi piacerebbe sapere tanto cosa ne pensa quel grande di Felice Accame, uno che a Coverciano è di casa.
    Una campagna non dovrebbe comunicare squallore, né svilire qualcosa per elevare qualcosa d’altro. Dovrebbe rappresentare e parlare al target cui si rivolge, ovvio, spingere all’emulazione, mettere a fuoco un modello alto che entusiasma… e questa pubblicità non lo fa.
    Gli sportivi non hanno detto nulla? Avranno avuto meglio da fare in questo agosto. I Francesi ci prendono in giro? Loro, per stare in tema, colgono la palla al balzo, sempre. Ma se li conosco bene – e li conosco abbastanza – da loro una campagna così non sarebbe stata manco pensata.

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