Tullio Avoledo, Chiedi alla luce, le sue dita si muovono poi si alzano a sfiorare le mie ali

Chiedi alla luce di Tullio Avoledo

Chiedi alla luce di Tullio Avoledo

Chiedi alla luce di Tullio Avoledo
Marsilio, settembre 2016, 9,99 € ebook; 18 € libro cartaceo

«”Credo sia il momento di trovare una spiegazione” faccio, toccando il braccio di Sabine. “Sì, credo anch’io”».

Leggo le storie di Tullio Avoledo dagli esordi, da quel “L’elenco telefonico di Atlantide” del 2003 che mi fece scoprire ventenne un approccio al romanzo fantastico inedito da parte di uno scrittore italiano, perdipiù nordestino. Ho seguito poi fedelmente in questi quasi quindici anni la produzione di Avoledo pubblicata prima da Sironi e Einaudi (ma suoi racconti brevi sono usciti anche in raccolte collettive per Mondadori e Minimum Fax) infine da Marsilio. Coraggiosa la casa editrice veneziana a credere in un autore anomalo per il nostro paese, una nazione che non ama la fantascienza italiana perché almeno nella seconda metà del Novecento ha venduto i suoi sogni all’immaginario made in USA.

In “Chiedi alla luce” tornano tutte le ossessioni di Avoledo, ricorrenti in quasi ogni suo libro: l’imminente fine del mondo; l’inventariato puntuale del passato esotorico europeo (gli angeli, il Graal, le relique ecc.); la musica (sia quella classica sia quella contemporanea) e i musicisti; lo stupore e la denuncia per le atrocità del secondo conflitto mondiale perpetrate dai fascismi e dal comunismo; l’insofferenza per un presente che macina e stritola le vite dei protagonisti delle sue storie (riappare a tal proposito anche in queste pagine Giulio Rovedo, non più in veste da protagonista ma di utile comprimario). Come da un buon vino, da un romanzo di Avoledo sai sempre cosa aspettarti.

In questo romanzo seguiamo Gabriel, archistar dimenticato, peregrinare per Istanbul, Budapest, Mosca, Parigi, Milano e il Nordest col dubbio che non sia in realtà nientemeno che un arcangelo, indeciso o meno se annunciare l’Apocalisse, poco importa se scatenata da un conflitto termonuclare tra Stati Uniti e Russia oppure per lo schianto di una cometa sul nostro pianeta. Viaggi nel tempo, poeti immortali, angeli convinti di essere umani, un’intera città fantasma – Obizared – mai abitata in disfacimento nei deserti tra l’Asia e l’Europa, Avoledo dà sfogo per 480 pagine a tutta la sua fantasia trascinandoci in una corsa che ha il sapore delle cento cose da fare prima di morire.

“Chiedi alla luce” non è il romanzo più bello di Avoledo – che rimane per me “L’anno dei dodici inverni” (2009) –, perché al solito vuole dire troppe cose e i suoi editor glielo lasciano fare, ma ha scritto una storia con un finale che mi ha fatto singhiozzare, e che naturalmente non posso rivelarvi. In quanto fan della prima ora, in cambio gli perdono riguardo a questa storia in particolare quelli che nel mio piccolo ritengo difetti: quelle cento pagine di troppo, le scene di sesso e le sporadiche volgarità cui pare non voler rinunciare e la sua ossessione per un Novecento che non passa (un’epoca che sarà ricordata senza dubbio nei tempi a venire per la presunzione di essere stata eccezionale).

Se aveste ancora dubbi se dare una chance ad Avoledo posso aggiungere che è anche tra i pochi narratori italiani a non aver paura di mettere nei suoi romanzi elementi che i più ritengono anti-letterari: email, opere d’arte di artisti contemporanei, addirittura il car sharing, pensate. Insomma, incrociando le dita non è detto che il futuro prossimo venturo sia come se lo immagina questo scrittore di Pordenone – e del resto finora nonostante quel che potrete leggere in “Chiedi alla luce” non è stata ancora eletta nessuna donna alla presidenza degli Stati Uniti – ma rimane sempre un piacere farsi un giro nel suo immaginario che mischia e ridà nuovi sapori a pochi scelti elementi.

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