Archivi del mese: febbraio 2023

Dario Ferrari, La ricreazione è finita, “Fermarci ora sarebbe da vigliacchi” disse

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La ricreazione è finita di Dario Ferrari
Sellerio, febbraio 2023, (cartaceo 16 €, 476 pagine; ebook 9,99 €)

“Il tallone d’achille [del professor Sacrosanti] è il godimento quasi erotico che trae dai rapporti di potere accademici. Lo ha sempre perseguito, il potere, a maggior ragione da quando è diventato preside della Facoltà di Lettere”.

Ho aspettato qualche giorno dopo aver terminato il libro a scrivere di La ricreazione è finita di Dario Ferrari. Una delle ragioni è che Ferrari, nato nel 1982, laureato in filosofia a Pisa e poi ricercatore con tesi di dottorato, rappresenta una delle possibili strade che non ho percorso (in tutte le interpretazioni della poesia di Frost che volete); ho infatti un paio d’anni più di lui e una laurea in storia. Il romanzo di Ferrari narra di un dottorato in Lettere dedicato all’opera letteraria di un terrorista viareggino, Tito Sella. Anche la struttura del romanzo ricalca in apparenza i tre anni di questo percorso con un prologo e un epilogo. Chi si è imbarcato in una carriera universitaria post-laurea potrà confermare o meno tutto quello che Ferrari racconta del mondo accademico italiano, calcando molto, ci si augura, sul grottesco con immediata efficacia comica.

E si potrebbe interpretare così la fiction di Ferrari, la descrizione minuziosa di un ambiente lavorativo a beneficio zero per la società (tutti massimi esperti di nicchie culturali fini a se stesse), dove contano i rapporti di forza tra i professori, ex giovani degli anni settanta nati una generazione prima dei ricercatori, al sicuro nelle loro posizioni di privilegio, sia economico sia sociale, mentre i trenta/quarantenni di oggi rimangono se va bene precari a vita o se va male stritolati dal meccanismo. Quanti anni si può stringere i denti attendendo un posto sicuro all’università? Perché confidare nel riconoscimento del merito se Marcello, il protagonista di “La ricreazione è finita”, per primo beneficia forse di una borsa di studio per caso, per un calcolo sbagliato? Non era a questo punto meglio il mondo di ieri, quello dove la rivoluzione si tentava di farla davvero?

E però, e però, all’interno di “La ricreazione è finita” c’è un racconto breve – “La fantasmina” – opera perduta del terrorista di cui sopra, scritta da Marcello partendo dai diari di Tito recuperati a Parigi, che può valere un’altra intepretazione del romanzo. “La fantasmina” è il vero romanzo sugli anni settanta che Ferrari avrebbe potuto scrivere e le trecento pagine dedicate a Marcello, alla sua famiglia, alla fidanzata e alla cerchia di amici, ai suoi colleghi universitari, ecc. una glossa di trecento pagine sotto mentite spoglie. “La ricreazione è finita” sarebbe dunque una vicenda potenzialmente immaginaria, le note a margine di un’esistenza, quella di Marcello ambientata ai giorni nostri, negli anni appena precedenti la pandemia, che si può comprendere solo a posteriori, alla luce di quello che è accaduto, o non è accaduto, in Italia cinquant’anni fa.

Letta in tal modo è l’esistenza di Marcello, non quella di Tito, a essere letteraria. Marcello è un Candido a cui le cose capitano per inerzia, “a un certo punto mi trovo ad aver fatto qualcosa senza aver mai deciso di farla” (p. 11) , Ferrari ce lo scrive a metà della prima pagina. I genitori di Marcello nascondono un segreto che almeno io come lettore ho accettato per puro atto di fede. La fidanzata di Marcello, Letizia, sebbene plausibile nella sua perfezione, è funzionale alla “manic pixie dream girl” Tea che il protagonista incontrerà a Parigi. Gli amici ad alto tasso di gradazione alcolica di Marcello, giunti trentenni ad avere famiglie squinternate senza comprenderne le responsabilità, sono macchiette umoristiche se confrontati ai membri della Brigata Ravachol messa in piedi da Tito. E l’università? Un ambiente lavorativo in cui senza motivo si perpetuano le ingiustizie di quello operaio.*
Liberi di prendere l’interpretazione esposta due paragrafi sopra come tale. Lo stesso Ferrari in un paio di pagine esilaranti riguardanti l’ermeneutica accademica dell’opera di Sella lascia intendere, o forse no, che si può dire di un testo tutto e il contrario di tutto. “La ricreazione è finita” si legge benissimo senza porsi troppi pensieri dall’inizio alla fine divertendosi, e parecchio, – ai vecchi come me ha riportato alla memoria atmosfere alla Virzì – e senza volerci leggere dentro per forza altri significati. Quindi, riassumendo, divertimento con retrogusto agrodolce. A chi si fosse interrogato sul significato del titolo riporto un passaggio della “Fantasmina”: “Tito si rese conto che non aveva granché voglia di far finire la ricreazione, e che forse era vero che per lui la rivoluzione era sempre stata un gioco”.

* Si confronti la citazione in apertura del professor Sacrosanti con quanto Tito Sella/Dario Ferrari scrive del mondo operaio degli anni settanta, a pagina 221: “Al [cantiere] Zama invece c’erano alcune persone il cui compito sembrava precisamente quello di trarre un piacere quasi erotico dal vessare i sottoposti”.

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Paolo Milone, Astenersi principianti, la morte e il nulla son cose diverse

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Astenersi principianti di Paolo Milone

Astenersi principianti di Paolo Milone
Einaudi, febbraio 2023, (cartaceo 17 €, 140 pagine; ebook 9,99 €; inviato in omaggio dall’editore)

– Cosa sta facendo, così lo ammazza! Lo faccia respirare!
– Signora, ma non vede che non respira?

Mentre sto scrivendo queste righe non ho (ancora) letto il romanzo di esordio che ha lanciato Paolo Milone fra le nuove promesse della narrativa italiana: L’arte di legare le persone (2021). Milone è di un anno più giovane di mia madre ed è anche la dimostrazione, come Camilleri del resto, che si può entrare da protagonisti sulla scena editoriale italiana anche superati di molto i sessant’anni. Se per il volume citato sopra eravamo dalle parti del memoir, o del racconto della propria professione, Milone è uno psichiatra, in Astenersi principianti siamo invece sullo scaffale dei libri dedicati al tirare le somme, alle riflessioni su come, di fronte all’inevitabile, si sia chi più chi meno tutti inadeguati perché non preparati. Anche se per l’autore la consapevolezza della mortalità la si può paragonare a un farmaco, se la si usasse con oculatezza.

Astenersi perditempo è diviso in sei sezioni. All’interno di esse componimenti in versi liberi, come in L’arte di legare le persone se ho ben capito, si alternano a brevi racconti, come quello che apre il libro. A Genova un uomo in coda alla cassa di un supermercato soccorre un uomo colpito da infarto. A rendere surreale la scena la moglie dell’infartuato, che non riesce a capacitarsi di come il marito le stia letteralmente morendo sotto gli occhi. Perché alla morte non crediamo più, perché la morte non la “vediamo” più, dato che la nascondiamo negli ospedali e nelle case di riposo. A proposito degli eventi degli ultimi due anni, inevitabile almeno un accenno, Milone scrive: “[Suvvia, ndr] Richiudiamo la morte nei suoi recinti”, che non è in fondo quello che ha infastidito di più chi alla morte non dà più peso?

Molti racconti hanno protagonista la Morte personificata, quella degli affreschi medievali con tanto di veste nera e di falce, o forse, più che al Medioevo, Milone si rifà alla morte immaginata da Bergman in “Il settimo sigillo”. Dubito che l’autore conosca lo scrittore inglese Terry Pratchett ma in alcuni punti mi ha anche ricordato la Morte del Mondo Disco nata dalla penna di questo autore, maestro del fantasy umoristico. Si ride amaro in Astenersi principianti perché spesso Milone utilizza la “formula Samarcanda” per spiazzare il lettore: a chi farà davvero visita la Morte? A un personaggio chi ci sembra agonizzante o a quello che pare una comparsa sprizzante di vita? In altri tratteggia la Morte curiosa di comprendere l’uomo, come nel film Vi presento Joe Black (1998), o almeno desiderosa di prendersi una vacanza.

“Il reparto psichiatrico è l’ultima stazione di posta / alla frontiera del nulla”. Immagino che i lettori di L’arte di legare le persone saluteranno con piacere i frammenti poetici dedicati alla pratica psichiatrica. Non mancano e sono circostanziati al tema di questo libro. Alcuni esempi: se è vero che la depressione può ammazzare, è altrettanto vero che letale può essere pure l’eccesso di euforia dei soggetti maniacali; invece, cosa lascia il suicida dopo di sé? Oggetti che qualcuno raccoglierà. E nei casi di suicidio a volte trenta secondi potrebbero fare la differenza tra la vita e la morte. In altri casi colpiscono le definizioni più semplici, ma non per questo meno efficaci, di un disagio: “Io sono un pesce d’acquario / Se mi butti in mare, muoio”. E se teniamo a mente che Milone è di Genova anche due frasi così piane acquistano un significato più profondo.

C’è grande cura in questo volume – a partire dalla copertina, un’eterea illustrazione di Jean Cocteau di un uomo con le ali – che si legge in un pomeriggio, o in una giornata, e torna in mente nei giorni successivi. Certo dai trent’anni in giù colpirà gli spiriti più malinconici mentre non è consigliato (o forse sì, per una terapia letteraria d’urto) a chi con la morte non vuole averci nulla a che fare. Sebbene Milone scriva che “la morte non si fa prendere dalle parole. / Sfugge negli spazi bianchi, / come l’acqua del mare sfugge tra le dita” l’impressione, almeno la mia, è che ci sia riuscito a raccontarla. A farla camminare insieme al lettore per le strade di Genova, tra la passeggiata di Nervi e corso Italia (ma Milone non abusa della sua città che spesso non nomina) in un dialogo personale che diventa universale.

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