Archivi del mese: Maggio 2023

Silvia Bottani, Un altro finale per la nostra storia, la prima immagine è stata un abbaglio

Bottani Un altro finale per la nostra storia

Un altro finale per la nostra storia di Silvia Bottani

Un altro finale per la nostra storia di Silvia Bottani
SEM Libri, gennaio 2023 (cartaceo 18 €, 208 pagine; ebook 8,99 €)

Ho fatto ancora delle fermate, provando tenerezza […] per i signori di mezza età stropicciati, con le pance e i tagli di capelli sbagliati, le scarpe sbagliate, un po’ allucinati e, speravo, non simili a me.

Mentre mi affretto a scrivere queste righe prima di riportare in biblioteca “Un altro finale per la nostra storia”, il secondo romanzo di Silvia Bottani pubblicato da SEM Libri, mi domando che cosa non mi ha convinto di questa storia. Bottani è una brava scrittrice, ho letto e apprezzato il suo romanzo precedente, “Il giorno mangia la notte”, e contavo di andare sul sicuro. Eppure avrei dovuto capirlo sin dalle prime pagine che la storia di Mauro Massari, l’eccezionale “atleta mentale” quarantenne specializzato in gare di memoria protagonista dell’intreccio, non sarebbe andata da nessuna parte. Lettori avvertiti, questo è un romanzo raccontato a ritroso, tutto è successo, forse, tutto è raccontato di nuovo mentre Mauro è impegnato davanti alla giuria a ricordare sequenze di numeri per dimostrare il suo talento. Ci si può fidare di una voce narrante che sostiene di poter ricordare tutto?

“Vedi come è facile ricostruire il copione di quello che ci accade, stando nella verità e nella finzione senza tradire né l’una né l’altra?” si domanda retoricamente Mauro ripensando alla storia che ci sta raccontando. Se invece voi, come me, al narratore inaffidabile preferite quello affidabile allora può darsi che non abbiate molta voglia di leggere una vicenda che, chissà, magari non è andata proprio così come ce la stanno spiegando. A ogni modo, “Un altro finale per la nostra storia” si sviluppa intorno a un vuoto, quello lasciato da Fabio, compagno di liceo e migliore amico di Mauro, che un 5 aprile degli anni novanta del XX secolo sparisce. Data che dovrebbe dirvi qualcosa se c’eravate. Nonostante le ricerche, non si saprà più nulla di lui; viceversa, Bottani ci narra come quella sparizione sconquasserà le vite della famiglia di Fabio e imprimerà una traiettoria bizzarra a quella di Mauro.

Sarà la sorella di Fabio, Bianca, a ricontattare Mauro per cercare di venire a capo di quell’allontanamento volontario. Perché decidere di sparire? E viene da pensare, perché a quarant’anni (l’età del protagonista) viene voglia di rivangare il passato e stendere bilanci? Inizia quindi la narrazione di un rapporto amicale esclusivo al maschile à la “Y tu mamá también” – mai visto il film di Alfonso Cuarón? – che ci farà conoscere Fabio dal punto di vista di Mauro e poi via via da quello della sorella, della madre e di altri personaggi. Sbilanciarsi di più non posso perché a pochi minuti dalla restituzione del romanzo mi viene in mente che una delle possibili interpretazioni del romanzo sia proprio questa: non stiamo leggendo tanto la storia di Mauro e Bianca, quanto quella di Fabio ferma in un eterno presente di una primavera milanese di trent’anni fa.

Come in “Il giorno mangia la notte”, un’altra assoluta protagonista del romanzo è Milano, il centro (l’Università degli Studi, piazza Sant’Alessandro, il Museo Civico di Storia Naturale, il Cimitero Monumentale la rievocazione del campo di pelota basca di via Palermo) e la sua periferia meridionale, quella parte di San Donato Milanese sviluppata dall’ENI perché “nelle tue parole mi sembrava di sentire il potere del gas e del petrolio, l’effervescenza degli idrocarburi che fungevano da propulsori per la vita dell’Ingegnere e della vostra famiglia, quel petrolio che era ormai innominabile”. “Un altro finale per la nostra storia” può essere letto anche come la storia del declino di un certo tipo di classe sociale (la borghesia delle professioni cui appartiene la famiglia di Fabio) e di fenomeni come quello del downshifting, più volte evocato da Mauro. 

Gli ingredienti per un buon romanzo ci sono quindi tutti: qualcosa di insolito (la mnemotecnica, la tassidermia, l’occultismo); qualcosa di dolce (l’innamoramento del protagonista); qualcosa di esotico (un sogno d’Asia e di spiritualità); qualcosa di tipico (gli scorci di Milano); qualcosa di artistico (una performance in piena regola in qualche spazio milanese ad hoc); qualcosa di torbido (eh no, questo non ve lo dico, lo scoprirete voi); qualcosa di passato (gli anni novanta); qualcosa di futuro (la figlia di Mauro). Che nel giro del palazzo della memoria di Mauro – in questo senso, la descrizione della rievocazione dei ricordi, di cui la tecnica del palazzo è uno degli espedienti, il romanzo è riuscito – scritto da Bottani tutto quanto accennato sopra riesca ad amalgamare bene non me la sento di dirlo, o per essere chiari, io a un certo punto mi sono perso. Altri lettori troveranno la loro strada. 

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Flavio Pintarelli, Il velo, sakoku significava “Paese chiuso”

Copertina di "Il velo" di Flavio Pintarelli

Il velo di Flavio Pintarelli

Il velo di Flavio Pintarelli
Edizioni alphabeta Verlag, marzo 2023 (cartaceo 15 €, 208 pagine)

Quello che i più sapevano sull’Alto Adige era che si trovava a nord.

Quasi trent’anni fa un gruppo di adolescenti italiani di cui facevo parte riuniti per tre settimane a Dun Laoghaire, appena fuori Dublino, per imparare l’inglese era abbastanza omogeneo. Capelli più o meno lunghi, idee più o meno progressiste, capirete, in seconda o terza superiore come si poteva essere. A distinguersi un solitario ragazzo di Bolzano. Capelli cortissimi, biondo, vestito sempre di nero con un cappellino dell’Adidas. Evidentemente di destra. Già conoscevo il Trentino-Alto Adige da figlio di una bellunese (“Di là hanno i soldi”) ma il mio impatto con il Südtirol oltre il “velo” di cui parla Flavio Pintarelli nel suo romanzo è stato proprio quel ragazzo di cui ho scordato il nome. Dopo gli ultimi attentati degli anni ottanta del Novecento per mano dell’Ein Tirol del resto in tanti in Italia hanno rimosso gran parte della storia recente di questa lontana provincia di lingua tedesca.

Avanti veloce. Nella Bolzano della metà degli anni dieci del XXI secolo al centro delle vicende narrate in “Il velo” vive Alex. Il nostro protagonista è un copywriter trentenne che si ritrova a occuparsi di un progetto editoriale concepito per magnificare il “brand Alto Adige” oltre gli stereotipi ma aderente alla narrazione di successo della Provincia autonoma. Ci accorgiamo subito che l’altro polo della vicenda è invece un interrogativo esistenziale. Cosa ha richiamato Alex nella sua terra natale dopo gli studi a Siena? Perché vi è legato seppure ne percepisca, letteralmente nel corso del libro, tutte le dissonanze? Perché pur avendo scelto un lavoro intellettuale non ha conseguito quell'”equilibrio tra creatività e sopravvivenza” che altri sembrano aver raggiunto? “Il velo” è il reportage di un Alto Adige che con le foto impeccabili delle home page dei siti dei suoi alberghi ha poco da spartire.

“Il velo” è il racconto di un sabotaggio, il tentativo di un bolzanino sfuggito alla logica dei blocchi voi/noi – rappresentato nella mia esperienza dal ragazzo di destra che ho citato in apertura – di narrare un Alto Adige oltre la contrapposizione etnica, muro contro muro che si mantiene in vita artificialmente per accentuare un’originalità del territorio sfruttata in chiave turistica. E allora anche gli approfondimenti ambientali (le conseguenze dell’innevamento programmato) o politici (gli scontri al Brennero del 2016 tra polizia e anarchici per il diritto al passaggio dei migranti verso nord, il depotenziamento del Monumento alla Vittoria di Bolzano grazie a un’installazione artistica del 2017) da vicende secondarie diventano centrali. Perché la Storia deve tornare a fluire tra monti e valli che forze antichissime vorrebbero sempre uguale, ci suggerisce il nostro autore.

A corroborare l’ipotesi del sabotaggio di cui sopra altri personaggi de “Il velo”: Manfred, la spalla del protagonista, l’aiutante dell’eroe se fossimo in un romanzo fantastico (o forse lo siamo?), un fotografo bolzanino che sarà al fianco di Alex nelle sue peregrinazioni per la Provincia, la possibilità di un dialogo con l'”altro”; Arianna Lanzinger – il vero avversario, inteso anche in senso diabolico/tentatore, del romanzo di Pintarelli –, incarnazione di quel ceto dominante cui ci si dovrebbe rivoltare contro invece di dilaniarsi tra esclusi dal grande gioco; Aubet, Cubet e Quere, entità misteriosa e ctonia che, all’insegna del perturbante teorizzato da Mark Fisher, altera l’equilibrio del protagonista nutrendosi dell’odio contrapposto e artificioso delle comunità altoatesine per preservare una stasi di fatto che alimenta solo infelicità. Non esattamente un invito a vivere l’Alto Adige. 

“Il velo” è un romanzo che ha il torto di essere breve. Per dipanare meglio il confronto di Alex con Aubet, Cubet e Quere ci sarebbero volute più pagine, se non proprio 1200 almeno 400, il doppio di quelle che leggerete. Coinvolgente la descrizione del rapporto tra Alex e la sua partner di vita, Serena, anche se che a volte è un po’ troppo tirato via, qualche sottotrama che li riguarda sembra appena abbozzata. Anche il personaggio di Manfred meritava altri paragrafi. Compiuto è invece il racconto del territorio con gli approfondimenti di cui vi ho scritto che comprendono anche l’uomo del Similaun e scontri tra “famiglie” di motociclisti (!). E non poteva essere altrimenti perché anche se Serena dice a Alex: “Il tuo bel raccontino non cambierà nulla. Bolzano, l’Alto Adige, il mondo intero andranno avanti così come sono” chi crede nelle parole ci prova sempre a cambiare le cose. 

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Matteo B. Bianchi con Eleonora Daniel (a cura di), Quasi di nascosto, 12 nuovi autori sotto i 25

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Quasi di nascosto a cura di Matteo B. Bianchi ed Eleonora Daniel

Quasi di nascosto a cura di Matteo B. Bianchi con Eleonora Daniel
Accento, novembre 2022, (cartaceo 16 €, 176 pagine; ebook 8,99 €)

Gli occhi dei cattivi hanno spesso una malinconia di ragazzi. Sono fermi all’età in cui tutto è possibile ma già si avverte la piega storta che inizia a prendere l’esistenza, si intravede l’aprirsi di una crepa, un incrinatura [da “Nel cuore della matrioska” di Isabella Silvestro].

E dunque come scrivono i ventenni di oggi? Onore al merito di Matteo B. Bianchi (direttore editoriale) che insieme a Eleonora Daniel (editor), per inaugurare il catalogo della casa editrice Accento fondata da Alessandro Cattelan (editore), hanno deciso di andarlo a scoprire col più rischioso dei prodotti editoriali, l’antologia di esordienti o quasi. Dodici autori sotto i venticinque anni raccolti in un formato tascabile che sembra anche più piccolo delle sue reali dimensioni (è leggermente più ridotto di un Universale Feltrinelli) e con una grafica di copertina che mi ricorda tanto le copertine delle cassette musicali che facevo da me alla fine degli anni novanta del XX secolo. Grafica vintage per nuovi scrittori di cui possiamo leggere i profili biografici in coda al volumetto. Molti provengono dalla classe creativa come si dice ora, di altri sappiamo che hanno già molto viaggiato.

Non me ne vorranno Bianchi e Daniel ma credo che “Quasi di nascosto” lascerà il segno nella storia dell’editoria italiana soprattutto per la sua introduzione. “Nella prima fase della ricerca [dei testi per l’antologia] siamo arrivati a porci un dubbio assai più radicale, ossia: Scrivono oggi i giovani italiani? Perché scovarli sembrava impossibile” scrivono i curatori. E da lì il nome dell’antologia: “Eravamo sicuri che qualcuno lo facesse [di scrivere narrativa], ma appariva sempre più evidente che per il momento agissero in privato, senza esporsi, quasi di nascosto”. Il ragionamento corretto dei curatori era che se a un certo punto dai venticinque in su si arriva ai trentenni e ai quarantenni che scrivono sulle riviste ora, nel 2023, significa che prima in qualche modo esista qualcuno che ancora preferisce la forma racconto alla scrittura polverizzata della rete e dei social.

È stato in questo modo che, nel corso di un anno, scrivono i curatori, dai quattrocento testi iniziali si sia arrivati ai dodici racconti e altrettanti autori e autrici che compogono la raccolta. Tenetene conto quando e se la leggerete. Il grande valore delle antologie è la selezione. Venendo al sodo, tra le tematiche ricorrenti in “Quasi di nascosto” troviamo la scuola (o l’università), l’estate, il mare e il corpo dei protagonisti e delle protagoniste (principali e secondari). Oramai tutti i tabù sono stati infranti quindi ben poco viene nascosto al lettore tra fluidi corporei (sudore, sperma, sangue, ecc.) e rapporti vari. C’è una fame di vita “tutto o niente” se si è superata la soglia della maturità, possono giusto indugiare chi sta ancora studiando, per tutti le altre e gli altri è giunto il momento di “fare”, che sia un furto con destrezza o avere un amplesso sulla spiaggia.

E ci si consola (o ci si dispera? scegliete voi) se i grandi interrogativi di chi è nato alla fine degli anni novanta e all’inizio del Duemila riguardino quindi, quasi per proprietà transitiva dalle tematiche di cui sopra, la scoperta del sesso (e a volte del genere, si veda “Non diventare donna” di Martino Giordano), i timori per l’entrata nella vita adulta, la comprensione di sé, ecc. Non c’è niente di nuovo come ciò che ricorre ciclicamente, forse. Tra i temi esclusi da “Quasi di nascosto”, per converso e curiosamente, la tecnologia – praticamente assente, giusto gli smartphone o i social del racconto di Aminata Sow “Pelle italiana” –, il cambiamento climatico – se non trasfigurato nel racconto di fantascienza (?) “Primo” di Micol Maraglino che, almeno al sottoscritto, ha ricordato qualcosa di Valerio Evangelisti – il mondo del lavoro – unico accenno a memoria nel racconto “Miasma” di Emma Cori, dove è una delle caratteristiche del protagonista aver rinunciato all’università per fare le stagioni come bagnino. 

Naturalmente per chi di anni ne ha quaranta, come chi scrive, alcune cose per forza di cose, e sappiano gli autori e le autrici che riguarda me non loro, sanno di già incontrato: il resoconto di una particolare notte d’estate in un racconto, la scrittura alla Brizzi di un altro, lo stereotipo della manic pixie dream girl (ancora!) in altri due (in uno a dire il vero è virato al maschile), il racconto quasi gotico con quella che pare molto una succubus e l’altrettanto inquietante narrazione di un festino in villa. I due racconti che mi sono piaciuti di più? “Strenta” di Riccardo Casella e “Nel cuore della matrioska” di Isabella De Silvestro. Li ho trovati più compiuti degli altri e ho appreso qualcosa di nuovo su parti d’Italia o istituzioni di cui conosco poco. Sarà comunque la prova del tempo a determinare chi rimarrà e chi si perderà tra i giovanissimi autori di “Quasi di nascosto”. In bocca al lupo a tutti loro. 

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