L’assassinio del Commendatore – Libro secondo di Murakami Haruki
Traduzione di Antonietta Pastore
Einaudi, gennaio 2019, (cartaceo 20 €, 436 pagine; ebook 10,99 €)
«Ma per il momento era l’unica cosa che desiderassi. Usare semplicemente una tecnica che avevo assimilato bene, senza cercare altro».
Anche se grazie a Einaudi che mi ha inviato una copia cartacea non ho letto L’assassinio del Commendatore – Libro secondo: metafore che si trasformano in digitale posso dirvi lo stesso quanto ci ho messo a finirlo, sette ore (tre più quattro ovviamente, non potevo prendermi ferie). Tanta era la voglia di sapere come sarebbe andata a finire questa storia per poi scoprire in fondo che Murakami ce l’aveva già detto all’inizio del primo libro. Non vi rovino nulla dato che come si scioglierà la trama lo scoprirete da voi, pagina dopo pagina, rispettando i vostri tempi. Rientra tra le abilità di uno scrittore farti dimenticare quello che ha scritto nel prologo, specie se sembra (?) la descrizione di un sogno.
A ogni modo, a Murakami Haruki servivano circa ottocentosessanta pagine per raccontarci “L’assassinio del Commendatore”; per svelarci un poco alla volta il passato di Amada Tomohiko, pittore famosissimo di quadri in stile nihonga oramai in preda al decadimento mentale dell’età avanzata; per mostrarci qualche dettaglio in più del mondo elegante e ordinato del signor Menshiki; per farci affezionare alla piccola Marie con la sua fretta di diventare grande e i suoi piccoli segreti anche se “è una bambina molto corretta” come ci tiene a precisare sua zia Shōko e come apprenderemo anche noi lettori con l’avanzare della trama.
Caduti nella tana del Bianconiglio che Murakami Haruki ha scavato per noi in questo romanzo, del resto – o nella buca in mezzo al bosco per essere più precisi –, altro non rimane che inoltrarci nel cunicolo tenebroso che ci si spalanca davanti pregando che abbia una via d’uscita. Senza orologi che ci possano indicare di preciso lo scorrere del tempo. E tutto il libro secondo si configura in parte come una riflessione sul tempo a nostra disposizione e sul viaggio rappresentato dall’esistenza, forse non a caso il protagonista ha quasi la stessa età di Dante. “‘Lei ha trentasei anni, vero?’ mi chiese di punto in bianco [Menshiki]. ‘Sì’ [risposi]. ‘Sono probabilmente gli anni più belli della vita’”.
Davvero difficile stabilire se la chiusura del cerchio de “L’Assassinio del Commendatore” sia una pennellata che piacerà a tutti (lo scrivevo anche nel mio commento al primo volume), Murakami Haruki ci mette del suo per destabilizzare il lettore, penso in particolare a un sogno del protagonista che ha un’importanza capitale nell’economia della storia. Rimane molto in sospeso alla fine della storia? Poco? Personaggi come quello di Menshiki avrebbero tollerato uno sviluppo diverso della vicenda? Un altro modo di interpretare “L’Assassinio del Commendatore” è quello di concepirlo come una riflessione sulle scelte che ciascuno di noi fa durante la sua vita.
Non sono infatti forse scelte anche quelle decisioni che non abbiamo preso? È corretto custodire un segreto per tutta la vita? Quanto ci toccano i lutti (come dice in due occasioni il personaggio di Masahiko: “La morte di una persona non è una faccenda da poco”) che inevitabilmente subiremo col passare del tempo? Dobbiamo raccogliere l’eredità dei nostri genitori o lasciarla perdere? A Murakami Haruki – arrivato proprio in coincidenza dell’uscita di questo libro all’età di settant’anni – non importa tanto darci risposte ma portarci sul fondo di una buca dalle pareti di carta dove farci riflettere sullo scorrere dei giorni.