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Daria Bignardi, Libri che mi hanno rovinato la vita, bisognerebbe vivere per sempre solo per leggere

Libri che mi hanno rovinato la vita

Libri che mi hanno rovinato la vita e altri amori malinconici di Daria Bignardi
Einaudi, febbraio 2022, (cartaceo 16,50 €, 168 pagine; ebook 9,99 €)

«Il terrazzo di via Barbavara – con la lavanda, le rose, la vite, i tetti rossi, le rondini, il tramonto – è così bello che non so più dove sto andando con questo libro».

Ho avuto modo a Rovereto a fine aprile di assistere alla presentazione di Libri che mi hanno rovinato la vita e altri amori malinconici di Daria Bignardi, volume che ho comprato per l’occasione. Sala Kennedy piena, grande affetto per l’autrice da parte della platea, perlopiù femminile. Introdotta da Giorgio Gizzi della libreria Arcadia, che aveva organizzato la serata, Bignardi ha parlato per un’ora del suo primo libro per Einaudi uscito per la collana Stile Libero Big, che propone testi di narrativa italiana contemporanea. In caso vi capitasse di fare come me, ascoltare la scrittrice parlare del libro e solo poi leggerlo, vi accorgerete che in due ore di conversazione con lei potevate quasi fare a meno di dedicarvi alla sua lettura.

Naturalmente la maggior parte dei lettori non avrà questa occasione ma una “chiacchierata” è il termine che forse meglio descrive il libro, a tutti gli effetti un breve memoir. Un volumetto (diminutivo nel senso delle dimensioni) autunnale, almeno per come l’ho percepito io, sicuramente malinconico come da “sottotitolo”; una testimonianza lasciata ai posteri dalla scrittrice a lettrici e lettori per dire loro: sono dei vostri, l’unico vero amore della mia vita è, e sarà, la lettura. Subito all’inizio (p. 17), Bignardi rivendica come proprio talento il “leggere velocemente”, un’abilità che l’ha formata e che, essendo la sua persona condizionata da una fascinazione per la sofferenza (“La mia malattia […] era che mi piaceva soffrire”), l’ha portata sia a leggere libri nocivi sia salvifici, seguono esempi con tanto di note bibliografiche.

Più volte durante l’incontro Bignardi ha definito il suo libro “spudorato”. Se è forse vero per quel che riguarda il racconto della sua giovinezza non lo è altrettanto per la sua storia recente di personaggio pubblico, che viene brevemente riassunta in una singola pagina. “La vergogna e il senso di colpa per […] aver parlato del dolore”, parole sue a pagina 125, devono ancora essere troppo forti per condividere compiutamente con i lettori gli ultimi sette anni della sua vita, sintetizzati a pagina 139 nell’essersi ammalata di cancro, avere accettato avventatamente un incarico troppo gravoso in quel momento e avere rotto col marito. E non era neppure tenuta a scrivere ciò che le era accaduto in quel modo, perché il libro poteva benissimo terminare a pagina 137 dove c’è scritto:

“Ma in questo periodo, chissà perché, sono così illogicamente allegra che mi seccherebbe morire”.

Quindi almeno io mi sono chiesto con quale spirito è stato scritto questo libro, che sicuramente è un libro che parla di libri ma in modo troppo scostante per essere del tutto convincente. Vi si cela dietro il timore di un ritorno della malattia? Bignardi ha utilizzato gli appunti di un anno, a credere all’artificio della struttura a diario, per lasciare una parziale biografia di sé che travalicasse il genere romanzo? (Almeno un paio di volte durante la presentazione si è rivolta a Gizzi tra il serio, il faceto e il malizioso chiedendo: “Davvero pensi che i miei romanzi siano biografici?”, così lui li aveva definiti). Non è un male scrivere per se stessi, tutti noi lo facciamo, quel che può risultare stonato è in senso editoriale “creder speciale una storia normale” citando Guccini. O non chiedere all’autrice un qualcosa di più, niente affatto facile me ne rendo conto.

Quello scrivere per se stessi l’ho rubato da una recensione da una stella al libro di tale Stefano su Amazon, che pensa che Bignardi sia una privilegiata che vive “in paradiso” e che non abbia saputo trasmettere nulla con “Libri che mi hanno rovinato la vita” ai suoi lettori, se intesi come “comuni mortali”. In questo senso se come personaggio vi sta antipatica troverete conferme e se vi sta simpatica pure. Quel che alla fine ho capito io, è che il titolo non corrisponde al contenuto del volume. Quel che mi sembra di aver compreso è che sarebbe potuto essere, fosse stata davvero spudorata, il racconto di come da “l’ultima delle collaboratrici della sezione Cultura e Spettacoli di «Panorama»” Daria Bignardi sia in quarant’anni diventata la Daria Bignardi* ma il tutto viene celato dietro storie che non sono la sua.**

* A scanso di equivoci, non intendo chissà quale storia torbida, solo la cronaca di una carriera che a malapena fa capolino in qualche pagina, tra i rimossi più grandi di questo libro.

** Inteso in questo senso il titolo del libro è perfetto.

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