Che fine faranno i libri? di Francesco M. Cataluccio
nottetempo, 2010, 2,99 €
«Nemmeno il lettore piú bulimico riuscirebbe a star dietro alla produzione libraria odierna. La prospettiva di analisi va capovolta: ci sono troppi libri interessanti e troppi pochi lettori (e anche questi non hanno tempo a sufficienza per leggere tutto). Cosí accade che ogni libro venda poco e gli editori, e gli autori, finiscano col guadagnarci molto meno rispetto alle potenzialità dell’argomento. Ma la ricchezza e la varietà dell’offerta sono una delle poche caratteristiche positive della nostra cultura. Tentare di limitarle o regolamentarle sarebbe, oltre che impossibile, assolutamente sbagliato.».
Premessa (un’altra), non avrei mai comprato un titolo “gransasso” – questo il nome della collana – nottetempo di carta, non mi piacciono i minilibri, ma non vedo perché, per il costo di tre caffè, non debba regalarmi questo brevissimo testo di Francesco M. Cataluccio in digitale. Non conoscevo l’autore prima di ieri mattina quando ho letto un suo pezzo (“Lavorare per vivere”) sul Post che rispecchia il mio pensiero su troppi argomenti per non farmelo subito risultare simpatico; che bello scoprire poi che per vent’anni aveva bazzicato l’editoria e che aveva scritto nel 2010 alcune riflessioni sulle trasformazioni in atto in questo campo!
Non sapevo ad esempio che già cinque anni fa un editore come Roberto Civita, proprietario del Grupo Abril, il più grande conglomerato mediatico dell’America Latina, avesse compreso come “il dialogo non è più con i lettori, ma con i lettori che dialogano tra loro, e questo cambia la dinamica dell’impresa”. Cataluccio cita questa frase per parlare dei giornalisti e dei giornali del XXI secolo, che sempre di più devono mettere a disposizione nel racconto dell’informazione gli stessi strumenti utilizzati dai loro lettori: video, suoni ecc. ma un discorso analogo può essere fatto per gli editori tradizionali che non possono più campare solo sui lettori del libro stampato.
Cataluccio descrive all’inizio del suo breve saggio un lettore digitale, o meglio, il Kindle che si poteva acquistare all’epoca: costoso, ancora con uno schermo poco risoluto e privo di illuminazione. Anche cinque anni fa non senza ironia diceva: “Ho qui accanto a me il ‘nemico’ [del libro]”. Tuttavia centrava il punto riconoscendo nell’ereader non un avversario della lettura ma viceversa un potente apparato di lettura profetizzando che il libro smaterializzato, “divenendo meno certa la natura dell’autore, [farà sì che si] rafforzerà e assumerà maggiore importanza la figura dell’editore”.
In attesa che questa previsione si avveri (o gli editori si sveglino) è stata Amazon tuttavia a diventare in questo lustro più forte degli editori tradizionali, più influente persino di Apple, che del mercato del libro digitale, forse anche a causa della dipartita di Jobs, ha perso da tempo la bussola. Cataluccio del resto non poteva immaginare che Cupertino con il suo iPad appena presentato nel 2010 non avrebbe influito più di tanto nella diffusione del libro elettronico, a prender per buone le dichiarazioni di un suo dirigente Apple aveva appena un quinto del mercato degli ebook negli USA a metà 2013.
È utile rileggere oggi Che fine faranno i libri?, un testo ignaro dell’attuale battaglia tra Amazon (che detiene il potente apparato di lettura di cui sopra) e gli editori del pianeta tutti, confrontandolo magari con testi più recenti – uno su tutti Come finisce il libro di Alessandro Gazoia – che vedono un destino più incerto per il libro digitale. “Di fronte a una rivoluzione radicale, che renderà i libri immateriali e per certi aspetti incerti, non più chiusi e definitivi, [stiamo badando] a salvare l’idea del libro”? Questa affermazione dell’autore che ho girato in interrogativo non ha per ora risposta.