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Francesco Targhetta, Le vite potenziali, nel frattempo i ballerini continuavano a danzare

Le vite potenziali di Francesco Targhetta

Le vite potenziali di Francesco Targhetta
Libri Mondadori, 2018, 9,99 € ebook (19 € cartaceo)

«”Vedi, noi diamo soprattutto questo, a prescindere dal prodotto specifico che vende il nostro cliente: diamo la sensazione di avere una vita che merita in continuazione, anzi, sempre di più, di essere vissuta. C’è di peggio, no?”».

Francesco Targhetta – l’autore de Le vite potenziali – ha la mia stessa età e gli riconosco il merito di aver voluto raccontare nel suo romanzo l’oggi mentre tanti scrittori della nostra classe, o appena più vecchi, sembrano ossessionati dal passato. Intendo con oggi la seconda metà di questi anni dieci del XXI secolo. Quindi, evviva, che sta accadendo per le nostre strade? Nulla. Vale a dire, non accade nulla di visibile a noi che passeggiamo per le nostre città perché Targhetta narra una vicenda riguardante un certo tipo di lavoro contemporaneo, quello del terziario avanzato. E questo genere di lavoro, quello che offre servizi a chi già vende un prodotto o un altro servizio, non ha alcuna ricaduta nella nostra società seppur per paradosso il lavoro nuovo si insedi là dove ce n’era stata una, e di quale portata: Marghera.

Marghera non rinasce, rimane monito a se stessa, ciò che hanno fatto i nostri nonni all’ambiente non è più rimediabile. I nuovi flussi di capitale creati da aziende come la Albecom, all’interno della cui cornice si svolge tutta la vicenda narrata ne “Le vite potenziali”, non sono destinati a risanare un territorio malato, servono in primo luogo alla crescita dell’azienda stessa che può, al limite, pensare di riadattare uno dei troppi capannoni dismessi dell’economia di prima a nuova sede. Una nuova sede ben lontana dal centro abitato, così come lontano dalla vita dei più appare il lavoro dei giovani programmatori impiegati dalla Albecom. Targhetta è abile a mostrare il processo di dematerializzazione del denaro cui stiamo assistendo e a descrivere alcune delle conseguenze di tale processo.

Se non percepisco che il mio lavoro possa arricchire la mia vita come posso pensare di farmene una? Per quale motivo dovrei andare incontro all’altro e cambiare un presente che mi sembra così rassicurante visto che è così simile al mio ieri? In “Le vite potenziali” sono le donne a far accadere le cose. Sebbene del tutto funzionali alle traversie dei tre protagonisti maschili – Luciano, Giorgio e Alberto –, sono le donne che decidono e che cambiano davvero. Gli uomini no. Rispettivamente: Luciano sceglie di non decidere, Giorgio differisce un invecchiamento che non lo riguarda. Alberto è un discorso a parte, prosegue assistito dalla sua fortuna (e da sua moglie) nel solco che si è scelto, quello di chi ha capito com’è diventato il mondo e tenta di governare l’“immateriale frenesia continuamente vorticata” dell’economia digitale.

Il personaggio di Alberto rimane di conseguenza quello più letterario, nonostante i tentativi di Targhetta di evidenziarne i punti deboli, la sensazione, almeno, la mia, è quella di ascoltare le imprese di un Achille che nello Stige è stato immerso tutto. Nessuno ha fatto le carte ad Alberto, siamo di fronte a un vincente. Luciano, viceversa, seppure potenziale protagonista di un albo dei primi cento numeri di Dylan Dog ha uno spessore maggiore, salta fuori dalla pagina, sembra di averlo davvero incrociato da qualche parte, ed è anche il personaggio cui ci si affeziona di più. Non è tanto la sorte di Alberto o Giorgio De Lazzari, detto GDL, che si vuole conoscere arrivando in fondo a “Le vite potenziali”, quanto quella dell’informatico convinto che la vita sia in fondo piuttosto ridicola.

A chi è indicato questo romanzo? Ai lettori cui piacciono le storie dove in apparenza non accade nulla eppure la trama avanza, come la puntina sul piatto di un vinile; a chi vuole sentirsi italiano e europeo da Helsinki a Parigi; a chi vuole imparare una decina di vocaboli nuovi (sarà perché non ho fatto il classico?); a chi vuole indagare perché religione e politica in pratica nulla hanno a che fare con l’organizzazione del lavoro e della vita in questo inizio di secolo – entrambi questi aspetti sono i grandi assenti del romanzo di Targhetta. In un’Italia diversa, che avesse capito sul serio su quale binario incanalare la propria energia, come nel secondo dopoguerra, “Le vite potenziali” avrebbe vinto il Campiello, invece di arrivare secondo, e staremmo vedendo il suo adattamento a serie TV su Netflix.

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