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Pierre Michon, Gli Undici, e soprattutto non vedo i cavalli

Gli Undici di Pierre Michon

Gli Undici di Pierre Michon
Traduzione di Giuseppe Girimonti Greco
Adelphi, settembre 2018, (cartaceo 16 €, 134 pagine)

«”Vuoi onorare un’ordinazione, cittadino pittore?”».

Ho comprato e letto Gli Undici di Pierre Michon in formato cartaceo perché credo Adelphi non abbia acquistato i diritti per l’edizione elettronica italiana di questo romanzo breve. I lettori sono quindi avvisati, non lo troverete in formato digitale. Ed è un peccato, Michon meriterebbe la più grande diffusione possibile, ha uno stile che ti tiene avvinto al racconto mentre ti trasporta in un altro tempo e più precisamente, almeno nel caso de “Gli Undici”, nella seconda metà del Settecento francese. Un modo di scrivere quello di Michon che non piacerà a tutti, del resto mi sono deciso a leggerlo per via di una recensione negativa su Amazon: “I couldn’t find a plot to save my life. […] Don’t waste your time”.

Sbaglio più grande non avrei mai fatto a fidarmi del lettore deluso di cui sopra. “Gli Undici” è un romanzo storico incentrato su un pittore mai esistito, Corentin, autore di un’opera mai dipinta, Les Onze (Gli Undici), raffigurante i componenti del Grande Comitato della Rivoluzione francese. Il libro si divide in due parti, la prima narra la genealogia e l’infanzia di Corentin, la seconda si concentra sulla commissione del dipinto al pittore ormai anziano e sulla descrizione di questa opera magnifica e monumentale, che come tutti sanno è custodita al Louvre. “Ecco perché le folle di tutto il mondo sfrecciano, senza neanche vederla, davanti alla Gioconda […] e si piazzano lì, davanti al vetro a prova di proiettile”.

Ed è davanti a frasi come questa che bisognerebbe posare il libro, alzarsi in piedi e applaudire (sì, esiste più di una GIF per farlo ma questo è un post vecchia maniera) l’abilità di Michon. Perché per qualche istante ci credi che “l’intera, colossale freccia del Louvre […] è forse stat[a] pensat[a] dal Grande Architetto al solo scopo di condurci al cuore di questo grande bersaglio in cui l’intero Louvre si inabissa senza fare una piega”. Nel momento in cui leggiamo “Gli Undici” l’opera omonima esiste e basta prendere un aereo per Parigi per andare ad ammirarla, o no? E allora se quella Parigi non esiste, non siamo dunque dalle parti dell’ucronia, o per chi snobba i romanzi di genere, sulle orme di “Finzioni” di Borges?

Credo di avervi dato le coordinate giuste per decidere se seguire Michon nel suo periodare fatto di ripetizioni e sovrapposizioni, tante pennellate di parole meditate una per una per anni che alla fine danno vita a “Gli Undici” o alla vita di Corentin narrata nella prima parte del romanzo. Una vita quella di questo pittore immaginario che, a credere alle parole di Alice De Gregoriis su “L’Indiependente”, riecheggia quella dello scrittore stesso, ossessionato dalla scrittura perché abbandonato dal padre, da qui il tentativo di “sostituire il padre biologico con quelli letterari”; guarda caso stessa sorte toccata a Corentin, affidato alla nonna e alla madre per le ambizioni letterarie del papà e dedicatosi anima e corpo alla pittura.

Una trama, come potete capire, l’ho trovata ne “Gli Undici”, eccome se c’è. E se non vi interessasse seguirla, c’è il sangue e il sudore dell’Europa pre-industriale; ci sono i cieli transalpini che si specchiano nei canali vicino a Orléans; ci sono gli inverni lunghi e spietati rappresentati in tanti dipinti; c’è la società dei salotti illuministi che gettava inconsapevolmente le basi di una società nuova senza padri e madri di stirpe regale; c’è il fanatismo che faceva cadere quaranta teste al giorno in nome della Rivoluzione; c’è la Storia incarnata alla Hegel in un quadro che Michon ci descrive così bene da strapparlo al mondo delle idee per portarlo nel nostro con tanto di cornice; c’è l’amore per la parola scritta capace di aprirci ad altre realtà.

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