Exit West di Mohsin Hamid
Traduzione di Norman Gobetti
Einaudi Editore, 2017, 9,99 € ebook (17,50 € cartaceo)
n.b. Lettura su copia gratuita inviata dall’editore
«[…] e ora si stavano aprendo tutte quelle porte da chissà dove, e arrivava ogni sorta di strana gente […], e quando usciva l’anziana signora aveva la sensazione di essere emigrata anche lei, che tutti emigriamo anche se restiamo nella stessa casa per tutta la vita, perché non possiamo evitarlo. Siamo tutti migranti attraverso il tempo».
In copertina quelli dell’Einaudi, per l’edizione italiana di Exit West di Mohsin Hamid, hanno messo una foto di due stanze separate da una porta aperta, gli ambienti sono parzialmente riempiti dalla sabbia del deserto. Evocata forse non a caso dall’autore stesso all’interno del suo romanzo, la fotografia è stata scattata in Namibia, nella città fantasma di Kolmanskop. Un insediamento che i minatori tedeschi abitarono a inizio Novecento per poi abbandonarlo una volta esaurite le miniere di diamanti. È anche un esempio delle migrazioni che sono accettate dagli occidentali, quelle verso gli altri paesi, mentre è tutto un altro discorso quando si tratta di accogliere entro i propri confini le migliaia e migliaia di migranti che si vedono sbarcare ogni giorno sugli schermi televisivi europei.
È interessante come alcuni recensori abbiano attribuito a Exit West l’etichetta di romanzo distopico quando a mio parere si tratta esattamente dell’opposto. Finalmente un romanzo utopico. Cosa accadrebbe se da un giorno all’altro una porta comune, una di quelle che tutti abbiamo in casa, si aprisse non sulla prossima stanza ma su quella di un altro continente? Un passaggio non certo facile, molto simile a una seconda nascita, che si può fare anche al contrario per tornare da dove si è venuti e tutte le volte che si vuole. Forse dopo un primo periodo di stupore, e anche di paura, ci accorgeremmo che così tante porte aperte verso l’altro consentirebbero all’umanità di riconciliarsi in una sola comunità, non più divisa dal colore della pelle e dall’appartenenza religiosa.
Spesso chi non vuole “subire” i flussi migratori si barrica dietro alla perentoria affermazione: “Qui non c’è più spazio”. Exit West dimostra come vi sia sempre spazio per l’altro e di come tale concetto sia del tutto relativo. Tutte le città del mondo ad esempio sono piene di spazi (o di case) vuoti che si potrebbero mettere a disposizione per coloro che per libera scelta o costretti sono in cammino. Come nel brano riportato all’inizio siamo tutti migranti attraverso il tempo, siamo tutti destinati a passare altrove. Anche la stessa distinzione tra migranti e nativi fino a quanti anni indietro nel tempo vale? Chi sono gli abitanti originali della California?
Mohsin Hamid è abile a trasformare la sua storia per gradi, trasportandoci nello stesso tempo da un luogo a un altro, esattamente come capita ai migranti: da una città (asiatica?) dilaniata da una non ben precisata guerra civile si passa a un luogo diventato simbolo dell’attuale fenomeno migratorio in atto, Mykonos. Dalle isole Cicladi arriviamo a Londra e poi da lì sulla costa ovest degli Stati Uniti. In attesa che la realtà virtuale si sviluppi abbastanza da farci vivere ciò che prova un’altra persona, un romanzo come Exit West è tra le poche possibilità che abbiamo oggi di comprendere, almeno per sommi capi, che cosa sta succedendo in questo inizio di XXI secolo, perché così tante persone stiano lasciando le loro case per cercare un nuovo futuro lontanissimo da dove sono nate.
Ma allora ci troviamo di fronte a un romanzo buonista? Chiamando i difensori dello status quo “nativisti” Hamid smonta il meccanismo sotteso a ogni tipo di razzismo legato a un’appartenenza territoriale. Se riconosciamo che siamo tutti ospiti dello stesso pianeta e che siamo tutti uguali per quale motivo dovremmo combatterci? O siete fra quelli che credono che l’Occidente sia l’ultima e più perfetta forma di società della Storia? Saeed e Nadia – la coppia protagonista di Exit West, raffigurazione plastica del pensiero religioso e del pensiero laico – assistono all’uscita di scena (exit) dell’Occidente senza dimenticare di raccoglierne l’eredità più importante, la democrazia. Auguriamoci che sia davvero così per le generazioni che verranno a sostituirci.