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Claudia Durastanti, Cleopatra va in prigione, la visita è dalle due alle tre di pomeriggio

Cleopatra va in prigione di Claudia Durastanti

Cleopatra va in prigione di Claudia Durastanti

Cleopatra va in prigione di Claudia Durastanti
Minimum fax, settembre 2016, 7,99 € ebook; 15 € libro cartaceo

«”Secondo me non sei tu a essere in debito con chi ti ha salvato, ma è la persona che ti salva a volerti dare qualcosa, per sempre. È la persona che ti salva che non riesce ad andare avanti”».

Caterina vive a Roma. Caterina vive in “una fossa di mattoni e sabbie mobili fortificata dall’abitudine e dal futuro che non arriva”. Caterina è figlia rassegnata (?) di una città immobile. Anche nella capitale però la vita scorre e Claudia Durastanti è molto brava a raccontarci la vita della sua protagonista Caterina alternando l’oggi – il suo ragazzo è finito in prigione, lei fa la receptionist in un albergo in fondo alla Tiburtina – allo ieri. Durastanti in “Cleopatra va in prigione” va dritta al punto, ci mostra l’Italia di oggi, dove la politica è sparita, lo Stato si riduce all’ospedale o alla caserma, se va davvero male, significa il carcere, Rebibbia.

Il ragazzo di Caterina e il suo migliore amico provano a percorrere una propria strada finita l’adolescenza, hanno un sogno: aprire un locale notturno. Dato che ottenere una licenza è troppo difficile, decidono di provare con un negozio di videonoleggio in franchising a Torpignattara. Il negozio va bene, poi non essendo più capaci di pagare le tasse allo Stato e quelle richieste dagli esattori di quartiere (proprio così, imposte e pizzo si pagano entrambe) i ragazzi chiudono e aprono finalmente il loro night. Caterina li aiuta facendo prima la ballerina poi la truccatrice, dopo un “incidente” che Durastanti non circostanzia ma che personalmente mi farà odiare il suo ragazzo.

Se lo Stato non ti aiuta è però molto efficiente a reprimere. Ad esempio, il padre di Caterina sbaglia, va in carcere e poi sparisce dalla vita di Caterina e sua madre; il ragazzo di Caterina accetta una certa deriva del locale suo e del suo socio e ne paga le conseguenze con l’arresto; l’amico del ragazzo di Caterina interpretando lo stereotipo dell’italiano furbo scompare all’estero. Se lo Stato è anonimo lo è anche il poliziotto che sta accanto a Caterina durante la prigionia del suo fidanzato, più simile al pezzo di un ingranaggio efficiente che a una persona, più rassegnato di Caterina a vivere una vita che si è scelto – arresti, ufficio, carriera – e che in fondo non la prevede.

“Cleopatra va in prigione” è la storia di Caterina, è la storia di una coppia immobile, disfunzionale (?), ed è la storia della Roma contemporanea. Almeno, la storia di Roma che vivendo al Nord riconosco per come mi viene raccontata dai mezzi d’informazione e dagli amici che ci vivono, riassunta nella battuta che Durastanti mette in bocca a uno dei suoi personaggi: “Questa città abbrutisce solo chi non la capisce”. Ovvero, non provare a cambiarla, neppure con l’idea di una tua piccola attività, il parassitismo è la sua essenza e se non lo comprendi, tu che non hai i mezzi per elevarti dalla tua posizione, accettalo come dato di fatto.

Ancora, “Cleopatra va in prigione” narra l’assenza delle figure genitoriali vissuta da chi ha trenta/trentacinque anni adesso, a metà degli anni dieci del XXI secolo, e l’inconsistenza dell’amicizia. La scrittura di Durastanti riesce a far entrare il lettore nella testa e nelle viscere di Caterina, uno spirito cui la vita ha tolto più che dato, un’intelligenza sopita per aver interrotto gli studi – “Cleopatra va in prigione” è anche un libro in cui grazie a Dio non si citano altri libri, tranne uno sulla meditazione; è un romanzo breve che racconta senza descrivertela l’Italia che non legge – che da un lato crede alla cartomanzia ma che dall’altro analizza in modo lucido e acuto il mondo che la circonda.

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Paolo Cognetti, A pesca nelle pozze più profonde, per vedere l’invisibile attraverso il poco che si vede

A pesca nelle pozze più profonde di Paolo Cognetti

A pesca nelle pozze più profonde di Paolo Cognetti

A pesca nelle pozze più profonde: meditazioni sull’arte di scrivere racconti di Paolo Cognetti
minimum fax, ottobre 2014, 7,99 € (ebook), 13 € (libro)

«Per cominciare a mettere una parola dopo l’altra, seguirle e vedere dove ti portano, devi essere capace di fartene meravigliare: e raccontare una storia come se fossi il primo in questo mondo a farlo».

Inaspettata come una trota che abbocca all’amo, ogni tot mesi Paolo Cognetti ci regala una raccolta di racconti, o riflessioni in questo caso; immagino gli editor di minimum fax come dei pescatori, lo disturbiamo se gli chiediamo a che punto sta? come hai detto che lo si raggiunge in quella specie di rifugio alpino dove sta adesso? Dopo “Il ragazzo selvatico” pubblicato da Terre di mezzo l’anno scorso e  “Sofia si veste sempre di nero” tra i 12 finalisti del Premio Strega 2013, è arrivato il momento di andare a pesca con lui.

Dato che parliamo di Cognetti oltre che di vera pesca – ” A un certo punto del mio apprendistato mi misi in testa che, se volevo diventare un bravo scrittore di racconti, dovevo imparare a pescare” – in questo libro si parla dell’arte di prendere i pesci come metafora del lavoro dello scrittore sui testi, almeno nel testo introduttivo. Anderson, Carver, Cheever, D’Ambrosio, Dubus, Fitzgerald, Hawthorne, Hemingway, Melville, Munro, O’ Connor, Orne, Paley, Poe, Salinger e Wallace magari non hanno mai pensato alle storie come a dei pesci ma ne hanno pescati di stupendi.

“Se lo scrittore è bravo, e noi siamo fortunati, mentre la mano scrive riusciamo a vedere ciò che ha visto lui”. Poche parole per descrivere quell’epifania che sono i buoni racconti, letti al momento giusto, non per distrazione ma in quel particolare periodo della propria vita in cui noi lettori ci ritroviamo in sintonia con lei/lui (scrittrice/scrittore); credevate che solo i lettori si interrogassero sul significato delle storie? Di solito ci chiediamo: “Come ha fatto a scrivere questa storia pensando a me?”. È bello leggere un testo che dice, sì, scrivendo di sé stava entrando in dialogo proprio con te.

Ad esempio, tra tutti i racconti di “Nemico, amico, amante…” di Alice Munro, in questa raccolta ne sono descritti due; tra questi due c’è anche il mio preferito “Quello che si ricorda” e non posso non sottoscrivere le parole di Cognetti: “Adoro ogni cosa di questo racconto”. In pochi paragrafi Cognetti ci spiega perché e oltre ai motivi per i quali anch’io ne vado pazzo ne trova altri; allora posso pensare a quanto è piacevole tornare con la memoria a un racconto che ho letto, quando in più ho potuto parlarne con uno scrittore di racconti come lui, anche se solo virtualmente!

Avete già capito qual è il lettore ideale di questa raccolta, sia l’apprendista scrittore – che non è affatto detto che vi troverà i ferri del mestiere che cerca… – sia quella bestia sfuggevole e rara che risponde al nome di “lettore di racconti”, una specie in genere non capita dagli editori ed esigente in sommo grado con gli scrittori stessi. E infine una sorpresa, si vi manca la protagonista di “Sofia si veste sempre di nero”, in questo libro ci sono ben quattro storie di Sofia, scritte “solo perché una mattina ti manca una certa ragazza e scrivere di lei è l’unico modo che hai per ritrovarla”.

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Alessandro Gazoia, Come finisce il libro, ma non è che insieme al lettore ne abbia ancora di strada da fare?

Come finisce il libro di Alessandro Gazoia

Come finisce il libro di Alessandro Gazoia

Come finisce il libro: contro la falsa democrazia dell’editoria digitale di Alessandro Gazoia (jumpinshark)
mimimum fax, 2014, 5,99 €

«Infine molti pensano persino che il libro in sé […] sia inadatto ai tempi e destinato a perdere il suo ruolo centrale nella nostra cultura, a scivolare via e sparire […]. E pure di questo tratteremo nelle prossime pagine, sempre che, come spero, tu voglia proseguire nel nostro viaggio, nella ricerca su come continua il libro e come continua il lettore.».

Premessa, invidio a Alessandro Gazoia (aka jumpinshark sul suo blog e su Twitter) oltre alla chiarezza dell’analisi e la maestria nell’elaborazione dei dati (spulciate le note a piè di pagina di questo saggio se dubitate che scriva di cose campate in aria) anche la scrittura facile, quella che nella mia immaginazione ti porta a produrre venti cartelle di Word nel tempo che impiego a mettere sul fuoco una caffettiera e un toast nel tostapane – sono velocissimo in questa routine mattutina. Ah, sono anche tra quelli che “leggeva jumpinshark quando non era famoso” o se volete meno famoso di adesso, mi sono imbattutto nel suo blog nel 2011 mentre tentavo di capire cosa accidenti fosse Boris, una serie televisiva di cui non sapevo nulla ma di cui sentivo parlare continuamente. Negli anni Gazoia è diventato un punto di riferimento sicuro quando volevo approfondire fenomeni come il social reading ad esempio ma non solo.

Veniamo all’ebook pubblicato da mimimum fax – che ha fatto bene, benissimo a dare alle stampe un breve saggio aggiornato sui cambiamenti che sta vivendo l’editoria –, dalla citazione posta in apertura a questa segnalazione avrete capito che Gazoia alla fine dell’introduzione sia da subito onesto con il suo lettore, altro che fine del libro, il libro continua. Nelle tre sezioni che compongono “Come finisce il libro” – Pubblicare, Digitale e Miti/Social – jumpinshark fa il punto sullo stato dell’editoria all’inzio degli anni dieci del XXI secolo partendo correttamente dall’inizio (oggigiorno tutti possono pubblicare, chi è allora lo “scrittore”?), passando per lo svolgimento (che cos’è questo ebook che ci stiamo “mttendo in tasca”? più approfondimento sulla natura monopolista di Amazon in questo nuovo mercato) e una dapprima sconcertante ma poi ficcante incursione nella fanfiction (scrivere gratuitamente di vampiri in rete è bello ma attento che l’editore ti può traviare offrendoti caramelle… e un contratto).

In Pubblicare Gazoia spiega in modo esemplare allo scrittore digitale autopubblicato come “il filtro editoriale [quello che finora l’aveva respinto ndr] sia costituito da una serie di filtri sociali e culturali, e che la «gavetta» [non sia altro che] il percorso tradizionale e ordinato attraverso di essi”. Ovvero, se è vero com’è vero che pubblicare oggi sia facile, facilissimo, il mezzo digitale sia ancora lungi dal garantire quella (seppur minima) permanenza nel mondo off-line e riconoscibilità tra pari che per ora solo la pubblicazione tradizionale garantisce.

Il libro cartaceo pubblicato da un editore riconosciuto nella sua irriducibilità fisica anche se stampato in 3000 copie su una popolazione di sessanta milioni di italiani ha una penetrazione sul mercato incomparabile rispetto a un ebook – sempre che non si voglia diventare re di una nicchia… Soprattutto lascia allo scrittore il ruolo di “scrittore” mentre, come esplica molto bene Gazoia, chiunque di noi si imbarchi in una pubblicazione digitale autogestita dovrà per forza di cose diventare via via editore, editor, grafico, lettore di bozze, ufficio stampa ecc.

Nella sezione intitolata Digitale come accennato Gazoia approfondisce i formati del libro digitale (file epub, mobi, PDF ecc.) e qui a mio parere incorre in un’ingenuità che lo rivela come “figlio del libro” di carta. A un certo punto afferma: “Per bontà della discussione diamo per acquisito che l’ambiente di lettura digitale possa garantire esperienze cognitive pari a quelle di un bel manuale di storia dell’arte”. Ora, jumpinshark magnifica il grado di perfezione tecnica raggiunto dal libro tradizionale, parlando di box e soluzioni tipografiche che l’ebook semplicemente ignora – anch’io ne approfitto per consigliare ai miei lettori di acquistare solo narrativa dagli editori tradizionali e saggistica solo da editori innovativi come quintadicopertina

Tuttavia questo paragone con i manuali illustrati, mondo dal quale provengo, non me lo doveva fare. Di sicuro un ebook di storia dell’arte per ora non è all’altezza di un catalogo illustrato ma per certo anche il libro di illustrazioni più ben fatto è cognitivamente scorretto e nella sua parte più fondamentale: la riproduzione delle immagini. È sicuro Gazoia che il Bertelli, Briganti, Giuliano (per fare un nome solo) riesca a rendere la drammaticità e le dimensioni monumentali de La zattera della Medusa di Géricault? Solo l’1% dei cataloghi illustrati (per limiti tecnici ed economici) può dirsi fedele poi alla cromia originale delle opere riprodotte, provate anche voi a fare un confronto dopo aver visitato una mostra, ciò che avete visto è lì sulla pagina?

Quel che si può rimproverare agli sviluppatori di ebook, e in questo sono d’accordo con l’autore, è il lassismo nella ricerca di soluzioni teniche tali per cui acquistare un libro elettronico possa dirsi sì un investimento “pari a un libro” (da cui la discussione infinita sul prezzo degli ebook). Gazoia dedica infine l’ultima parte di Come finisce il libro a tutti coloro che si divertono in Rete a rielaborare storie e personaggi inventati da altri – da Sherlock Holmes a Twilight –, un campo in cui anche Amazon e gli editori di sempre vogliono entrare per ricavare profitto, ponendosi la domanda delle domande: “Ma siamo davvero di fronte a una vittoria della creatività e della partecipazione popolare, o queste enormi quantità di lavoro gratuito a vantaggio dell’industria dell’intrattenimento non fanno che confermare i rapporti di forza, nel materiale e nell’immaginario?”.

Come avrete capito, “Come finisce il libro” è uno strumento utile e stimolante, mi basta rivedere le note che ho preso sul mio Kobo leggendolo per capirlo, per comprendere come il libro si stia trasformando, dopo aver avuto l’illusione nel secolo passato che non ci fosse più nulla da dire – lo ricorderò per l’ennesima volta, a parlare di libri elettronici e crisi irreversibile del settore appena dieci anni fa ti prendevano per matto –, che il libro fosse un fiume ben irrigimentato da argini secolari. Ecco, il libro è esondato e per il lettore sono arrivati più vantaggi che svantaggi; giudizio mio, leggete il saggio di Gazoia per vedere in questa “liberazione” qualche ombra minacciosa in più 😉

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Paolo Cognetti, Sofia si veste sempre di nero, inseguendo un caratteraccio tra Milano e New York

Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti

Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti
Minimum fax, settembre 2012, 7,99 €
Reading Life: 3.1 ore di lettura, 26 minuti ogni sessione, 1081 pagine girate.

«”Ci sono ancora tante storie che non so”. “Oh be’. Pietro, inventale. Non sono mica le sacre scritture. Ti do il permesso, usa la fantasia.”».

Vi ho mostrato come comprarlo direttamente dal Kobo Touch in questo post e ora che l’ho finito posso anche recensirlo, non segnalarlo perché questo libro merita. Intanto dura troppo poco 🙂 Tre ore volate tra ieri e oggi; soprattutto, dato che si tratta di racconti legati tra loro, il Touch mi segnalava la durata parziale delle singole parti e alla fine di Brooklyn Sailor Blues mi sono detto: “Nooo, e adesso? Davvero non potrò sapere più nulla di Sofia?”. Per fortuna quei diavoli di Minimum fax hanno riservato una sorpresa ai lettori dei loro ebook, chi ha presente i film dei “Pirati dei Caraibi” sa cosa voglio dire…

Premessa, importante, da Paolo, per i casi strani della vita, andavo a ripetizioni di matematica, poi l’ho perso di vista per anni e sono stato contento di saperlo scrittore, ho letto con piacere il suo “Manuale per ragazze di successo” del 2004, la Milano che lui racconta è la mia Milano, c’erano e ci sono tutte le premesse perché mi ritrovi in quello che ha da dire. E poi c’è la scrittura, precisa come le equazioni che tentava con pazienza di insegnarmi, talmente precisa che alla fine ti sembra semplice e scorri sulla pagina avvinto dalla storia di Sofia e della sua famiglia, delle sue peregrinazioni tra Milano e NY.

Intanto, nonostante siano appunto racconti indipendenti fra loro (addirittura i ringraziamenti finali sono personalizzati per ciascuno), “Sofia si veste sempre di nero” l’ho inteso come un romanzo breve né più né meno. Il centro della vicenda è chiaro, è la protagonista, tutto intorno padri, madri, zie, amici – raramente semplici comparse, anche le città, c’è pure un pizzico di Roma sono “personaggi” – come in un film corale americano, cosa farà Sofia? Dove porterà scompiglio questa volta? Quale sarà il destino di sua madre, suo padre e le attrici e l’amico d’infanzia li rivedremo ancora?

Se volete entrare nelle storie di Sofia sappiate che entrerete nella storia di una famiglia, sia quella tradizionale sia quella formata dagli amici, che in questi anni è diventata importante per quelli della mia generazione; sappiate che percorrerete le strade di una Milano pre-grattacieli, della periferia meneghina settentrionale nel momento in cui le fabbriche smisero di produrre e divennero luoghi da occupare (e poi ancora essere abbattute per far posto a nuovi condomini), di villaggi recintati dopo la tangenziale dove su un albero puoi costruire un casetta ma forse sei più prigioniero che mai.

Qual è la cifra di Paolo? Una scrittura non fine a se stessa dicevo, non un’esibizione di bravura, bella eh? ma in genere sterile o autoreferenziale. Caspita, qui è diverso, c’è una storia finalmente, c’è uno scrittore che si mette da parte o se compare è discreto, e lascia che Sofia diventi così vera da dire, “ma io la vorrei incontrare domani e anche sua zia Marta”, e grazie per avermi fatto entrare all’Alfa di Arese, grazie per avermi portato a New York e se Paolo afferma che “quello che scrivo non mi sembra mai abbastanza bello e non mi sembra mai giusto come lo vorrei” almeno per questo lettore, per me, lo è.

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