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Consigli di lettura: saggistica italiana e il libro postumo di Hitchens

Copertine dei saggi di Sciandivasci, Culicchia, Viola, Mantellini e Hitchens

Cose leggere di saggistica italiana (più un classico in lingua straniera da riscoprire) recente? Vi consiglio cinque libri che mi sono passati fra le mani. Un ringraziamento alla Biblioteca Civica di Rovereto, che custodisce una copia dell’ormai introvabile e fuori catalogo libro postumo di Hitchens – certo, a oggi si può comunque comprare a 35 euro su eBay e simili –, e a Einaudi che mi ha fatto omaggio dei libri di Viola e Mantellini (grazie!). Come in una puntata di “Sei gradi” di Radio Tre, i cinque saggi sono legati tra loro perché dalla famiglia passiamo al divorzio, dal divorzio all’avvocata divorzista che parla dei suoi libri preferiti, da un libro di Natalia Ginzburg che ha ispirato Mantellini una riflessione sulla vecchiaia oggi, dalla vecchiaia alla morte. Tutti, tranne Mortalità, sono disponibili anche in formato ebook tra i cinque e i dodici euro, verificate se la vostra biblioteca li ha in digitale.

Simonetta Sciandivasci (a cura di), I figli che non voglio, Mondadori. Raccolta letta per Geranio, il gruppo di lettura online cui partecipo. Titolo dietro al quale troverete pure gente che di figli ne ha avuti, però immagino che intitolarlo Figli sì, figli no sarebbe stato meno accattivante. Essendo una raccolta troverete le opinioni più varie, gran parte delle quali sono apparse sulla “Stampa” alimentando un bel dibattito in un Paese come il nostro dove le donne tendono comunque a fare meno figli. Le storture dovute all’inverno demografico che attende la società italiana si riflettono anche negli interventi più giornalistici che avrei limitato. In generale mi sono piaciute di più le testimonianze di chi dice senza mezzi termini “madri mai” di quelle che dicono “non so”.

Giuseppe Culicchia, Finché divorzio non vi separi, Giangiacomo Feltrinelli Editore. Satira al tempo del politcamente corretto sulle coppie che si separano aggiornata anche alle combinazioni oltre la lui/lei, che Culicchia sbrigativamente attacca in fondo al volume dopo aver descritto il punto di vista di lui e il punto di vista di lei riguardo a cosa capita alle copie che si sposano e poi si separano. Leggevo un po’ scettico pensando che quelli della mia generazione che conosco raramente si sono sposati saltando subito alla fase di farsi una famiglia. Però Culicchia è del 1965, ha quindici anni più di me, quindi può darsi che stia racontando qualcosa che riguarda la sua generazione. Riprendendo le parole di Douglas Adams, un pamphlet: fondamentalmente innocuo.

Ester Viola, Voltare pagina: dieci libri per sopravvivere all’amore, Einaudi. Ester Viola, di cui avevo molto appezzato l’esordio L’amore è eterno finché non risponde (2016) sia il seguito Gli spaiati (2018) torna per raccontarci dieci libri che qualcosa sull’amore possono insegnarlo, da Alta fedeltà di Hornby fino a Revolutionary Road di Yates. A cornice della descrizione dei dieci libri altrettanti casi di coppie che scoppiano o donne e uomini scottati dall’amore in quel di Milano che tutti attira e tutto trasforma. Un testo riconducibile al genere dei libri che consigliano altri libri, Voltare pagina ci riporta nel mondo letterario dell’autrice ma facendoci rimanere troppo poco, come in visita in uno di quei palazzi meneghini dove “sono i camerieri a portare i cani in strada”.

Massimo Mantellini, Invecchiare al tempo della rete, Einaudi. Concepito come un tributo al saggio La vecchiaia di Natalia Ginzburg (disponibile in Mai devi domandarmi), testo in cui nel 1968 la scrittrice si interrogava a 52 anni (!) su che cosa volesse dire diventare vecchi, Mantellini fa il punto su cosa significhi, cinquanta anni dopo, la stessa cosa. Cosa c’è di diverso? “È accaduto che la tecnologia è diventata ubiquitaria e molto potente […] oggi il tema principale riguarda il patto che la vecchiaia stringe con le tecnologie digitali e la loro invadenza”. Memorabile l’analisi del vecchiogiovane che l’autore identifica come una delle reazioni possibili all’attuale età digitale: “Il vecchiogiovane […] riconosce [la sua età] e la rifiuta” per poi infine gettare anche lui la spugna.

Christopher Hitchens, Mortalità, Piemme (trad. it. di S. Puggioni e A. Carena). Volume del 2012 che raccoglie gli ultimi articoli scritti su “Vanity Fair” dallo scrittore britannico, poi statunitense, Christopher Htichens, scomparso il 15 dicembre 2011 a 62 anni per un cancro all’esofago. L’ho recuperato grazie a un’indagine sui mestieri della morte che la casa editrice per cui lavoro pubblicherà a maggio 2023. Mortalità è il racconto della scoperta della malattia, della speranza di essere in quell’esigua percentuale di persone capaci di scamparla fino alla “decisione di accettare qualunque cosa la mia malattia mi riservi e di rimanere combattivo pur misurando la portata del mio inevitabile declino”. Memoir disincantato di un ateo sul nostro comune destino.

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Patricia Lockwood, Nessuno ne parla, poco a poco il mondo la richiamò a sé

Nessuno ne parla di Patricia Lockwood
Nessuno ne parla di Patricia Lockwood

Nessuno ne parla di Patricia Lockwood
Traduzione di Manuela Faimali
Mondadori, aprile 2022, (cartaceo 18,50 €, 168 pagine; ebook 9,99 €)

«”Probabilmente andrò a casa quando avrò finito la magnum di vodka” si disse, come una Cenerentola al contrario, continuando a infilarsi nel bicchiere che le calzava alla perfezione».

In uno scambio su Twitter qualche settimana fa mi sono accorto di quanto poco si parlasse di “Nessuno ne parla” di Patricia Lockwood, probabilmente perché il suo personaggio in Italia ha meno seguito che negli Stati Uniti (più di 110.000 follower su Twitter, per darvi un’idea). Qualche giorno dopo Mondadori mi ha inviato una copia del libro perché ero e sono convinto davvero che bisognerebbe dargli più visibilità. Lockwood del resto non è nuova al lettore italiano, che ha già potuto leggere il suo memoir “Priestdaddy. Mio papà, il sacerdote” nel 2020. E se già essere figlia di un prete cattolico è una storia che merita di essere raccontata di per sé ciò è ancora più vero per quella narrata in questo romanzo.

Diciamo che vi ho convinto e avete acquistato o preso in biblioteca “Nessuno ne parla”. Dopo poche pagine vorreste scrivermi un’email chiedendomi cosa l’avete preso a fare perché “non si capisce niente”. Ecco, il libro di Patricia Lockwood merita di fare un po’ di fatica in più. Di immaginare, come ha fatto lei, il modo migliore per rendere sulla pagina lo scorrere infinito dei post sui social network, e non solo. Anche la nostra reazione a essi. Nel romanzo la figura del marito è spesso utilizzata come controcanto alla assuefazione a Internet della protagonista. Siamo sicuri sia davvero necessario apprendere in presa diretta ogni minima tragedia del mondo? “Ovvio che stava piangendo. Perché lui non stata piangendo?”.

Diviso in due parti, “Nessuno ne parla” affronta esattamente questo tema. Il nostro presente, che anche se in modo differente per fasce generazionali, caratterizzato dalla simultaneità informativa del nostro essere connessi con, potenzialmente, ogni altro essere umano del pianeta, e il nostro privato, che possiamo decidere o meno se gestire secondo le regole del mondo nuovo (“[…] alla fine non aveva idea di dove finisse lei e dove iniziasse il resto della gente”), oppure no. Tenerci per noi. Perché non sempre la vita è una successione di meme divertenti da condividere, a volte, perché non dire sempre?, sono anche fatti terribili che vuoi/puoi vivere solo con la tua famiglia o comunque con le persone a te più vicine.

Fate allora questo sforzo, superate la prima parte, ricordo a tutti che Lockwood è una poetessa e onore alla traduttrice Manuela Faimali di aver reso comprensibile una successione di frasi che altro non è che un flusso di coscienza (con tanto di omaggio a Joyce: “Quando varcò i cancelli di Saint Stephen’s Green, il nuovo libro, il flusso di coscienza collettivo, iniziò a scorrere verso il busto rigido di Joyce”) la seconda parte è tutta un’altra storia, infatti. Se la notizia della gravidanza della sorella della protagonista era stata solo una notizia tra le tante tra quelle affiorate tra le onde del portale, vale a dire Internet, una diagnosi medica linfausta a rende così speciale da, incredibilmente, strapparla da una vita in funzione di essa.

Perché il tempo che possiamo dedicare alle persone, il tempo intimo dello “stare vicino” non in senso lato ma fisico è ancora in gran parte fuori dalla Rete. Non è stato digitalizzato come tante altre cose, anche se può sembrarlo, a volte. Se devo aiutare concretamente un parente, o in generale il mio prossimo, ciò è possibile perlopiù staccando da Internet. O per meglio dire, solo in una modalità di comunicazione con l’altro totale, c’è chi ci riesce anche a distanza, si può essere partecipi della sofferenza dell’altro. E piangerete anche voi come ho fatto io per la piccola Lena, per la volontà di vita di una piccola bambina rimasta su questa terra giusto il tempo di provare a comunicare e di farsi amare.

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Francesco Targhetta, Le vite potenziali, nel frattempo i ballerini continuavano a danzare

Le vite potenziali di Francesco Targhetta

Le vite potenziali di Francesco Targhetta
Libri Mondadori, 2018, 9,99 € ebook (19 € cartaceo)

«”Vedi, noi diamo soprattutto questo, a prescindere dal prodotto specifico che vende il nostro cliente: diamo la sensazione di avere una vita che merita in continuazione, anzi, sempre di più, di essere vissuta. C’è di peggio, no?”».

Francesco Targhetta – l’autore de Le vite potenziali – ha la mia stessa età e gli riconosco il merito di aver voluto raccontare nel suo romanzo l’oggi mentre tanti scrittori della nostra classe, o appena più vecchi, sembrano ossessionati dal passato. Intendo con oggi la seconda metà di questi anni dieci del XXI secolo. Quindi, evviva, che sta accadendo per le nostre strade? Nulla. Vale a dire, non accade nulla di visibile a noi che passeggiamo per le nostre città perché Targhetta narra una vicenda riguardante un certo tipo di lavoro contemporaneo, quello del terziario avanzato. E questo genere di lavoro, quello che offre servizi a chi già vende un prodotto o un altro servizio, non ha alcuna ricaduta nella nostra società seppur per paradosso il lavoro nuovo si insedi là dove ce n’era stata una, e di quale portata: Marghera.

Marghera non rinasce, rimane monito a se stessa, ciò che hanno fatto i nostri nonni all’ambiente non è più rimediabile. I nuovi flussi di capitale creati da aziende come la Albecom, all’interno della cui cornice si svolge tutta la vicenda narrata ne “Le vite potenziali”, non sono destinati a risanare un territorio malato, servono in primo luogo alla crescita dell’azienda stessa che può, al limite, pensare di riadattare uno dei troppi capannoni dismessi dell’economia di prima a nuova sede. Una nuova sede ben lontana dal centro abitato, così come lontano dalla vita dei più appare il lavoro dei giovani programmatori impiegati dalla Albecom. Targhetta è abile a mostrare il processo di dematerializzazione del denaro cui stiamo assistendo e a descrivere alcune delle conseguenze di tale processo.

Se non percepisco che il mio lavoro possa arricchire la mia vita come posso pensare di farmene una? Per quale motivo dovrei andare incontro all’altro e cambiare un presente che mi sembra così rassicurante visto che è così simile al mio ieri? In “Le vite potenziali” sono le donne a far accadere le cose. Sebbene del tutto funzionali alle traversie dei tre protagonisti maschili – Luciano, Giorgio e Alberto –, sono le donne che decidono e che cambiano davvero. Gli uomini no. Rispettivamente: Luciano sceglie di non decidere, Giorgio differisce un invecchiamento che non lo riguarda. Alberto è un discorso a parte, prosegue assistito dalla sua fortuna (e da sua moglie) nel solco che si è scelto, quello di chi ha capito com’è diventato il mondo e tenta di governare l’“immateriale frenesia continuamente vorticata” dell’economia digitale.

Il personaggio di Alberto rimane di conseguenza quello più letterario, nonostante i tentativi di Targhetta di evidenziarne i punti deboli, la sensazione, almeno, la mia, è quella di ascoltare le imprese di un Achille che nello Stige è stato immerso tutto. Nessuno ha fatto le carte ad Alberto, siamo di fronte a un vincente. Luciano, viceversa, seppure potenziale protagonista di un albo dei primi cento numeri di Dylan Dog ha uno spessore maggiore, salta fuori dalla pagina, sembra di averlo davvero incrociato da qualche parte, ed è anche il personaggio cui ci si affeziona di più. Non è tanto la sorte di Alberto o Giorgio De Lazzari, detto GDL, che si vuole conoscere arrivando in fondo a “Le vite potenziali”, quanto quella dell’informatico convinto che la vita sia in fondo piuttosto ridicola.

A chi è indicato questo romanzo? Ai lettori cui piacciono le storie dove in apparenza non accade nulla eppure la trama avanza, come la puntina sul piatto di un vinile; a chi vuole sentirsi italiano e europeo da Helsinki a Parigi; a chi vuole imparare una decina di vocaboli nuovi (sarà perché non ho fatto il classico?); a chi vuole indagare perché religione e politica in pratica nulla hanno a che fare con l’organizzazione del lavoro e della vita in questo inizio di secolo – entrambi questi aspetti sono i grandi assenti del romanzo di Targhetta. In un’Italia diversa, che avesse capito sul serio su quale binario incanalare la propria energia, come nel secondo dopoguerra, “Le vite potenziali” avrebbe vinto il Campiello, invece di arrivare secondo, e staremmo vedendo il suo adattamento a serie TV su Netflix.

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Linda Nagata, Red, Deve farsi riprogettare meglio

Red di Linda Nagata

Red di Linda Nagata

Red. La prima luce di Linda Nagata
Traduzione di Maria Sofia Buccaro, Mariachiara Eredia, Benedetta Fabbri e Maddalena Gerini
Mondadori, 2016, 6,99 € ebook (15 € cartaceo)

«Ma la mia rete cranica è fuori uso, non c’è nulla a tenere lontano la vuota oscurità che mi si annida nel petto».

Linda Nagata è stata la prima scrittrice di fantascienza a guadagnarsi una nomination ai Nebula Award 2013 e ai John W. Campbell Memorial Award 2014 (due dei maggiori premi statunitensi per la narrativa sci-fi e fantasy) con un’opera autopubblicata: Red. La prima luce (The Red: First Light). Come lei stessa afferma, la fama di questi due premi – anche se era stata solo nominata – le ha permesso di pubblicare “Red” nel 2015 per i tipi della Saga Press (un marchio Simon & Schuster) e di ottenere un’edizione italiana con Mondadori nel maggio 2016. Perché questo preambolo? Perché possono passare anni prima che una storia trovi la sua strada nel mondo, è sempre stato vero e continua ad esserlo anche nel XXI secolo.

Mondadori aveva già pubblicato in Italia Nagata traducendo nel 2014 un suo racconto – “Nahiku West”, un giallo fantascientifico – nella raccolta “Il futuro di vetro e altri racconti”, Urania Millemondi n. 66. Io l’ho conosciuta così e non mi sono dimenticato di lei. Già vincitrice del Locus Award 1996 e il Nebula Award 2000 per il miglior racconto breve, Nagata con “Red” offre ai suoi lettori un’opera di fantascienza militare (milSF) classica che apprezzeranno soprattutto i patiti di armi, di corpi speciali e di cospirazioni. A ogni modo, in un prossimo futuro il famigerato James Shelley, tenente dell’esercito degli Stati Uniti, appartenente alle SAC (Squadre d’assalto connesse), per un quarto africano e per gli altri tre europeo e messicano, sta combattendo in Africa.

Capiamo subito che Shelley è di buona famiglia ed è finito nell’esercito per un non ben precisato reato. Anche se è molto lucido nel condannare le malefatte dell’industria bellica, che crea ad hoc conflitti in tutto il mondo per vendere armi e attrezzature belliche, Shelley è un bravo combattente e un bravo capo per i soldati affidati al suo comando. Ecco che gli dice un suo superiore: “Lei è qui perché il suo profilo psicologico combacia con il mio ideale di perfezione: sveglio, adattabile, determinato. Un ottimo soldato…”. Ad aiutare i ragazzi e le ragazze a stelle e strisce ci sono gli angeli (droni), le Sorelle Morte (esoscheletri) , la Guida (aiuto tattico da remoto) e le calotte (cuffie che interfacciano i soldati fra di loro e rilasciano psicofarmaci per controllare l’umore). E se credete che ci sia troppa tecnologia così aspettate di vedere cosa capiterà a Shelley…

L’intreccio di Red mi ha indotto a leggerlo di corsa per vedere dove voleva andare a parare Nagata e mi ha trasportato dall’Africa al Texas e in altri luoghi che non posso svelarvi per non rovinarvi la storia. Più che i cambi di scenario, che sono quelli classici dei videogiochi sparatutto a sfondo bellico, il romanzo di Nagata mi ha colpito per il ritratto della società USA che s’intravede sullo sfondo. Anche se un amico di Shelley appartiene alla stampa, (“Elliot Weber, noto pacifista e giornalista”), i giornalisti sono apostrofati giornalioti e sono al servizio della propaganda; il presidente pare non avere alcun potere sugli amministratori delegati delle grandi società chiamati “draghi”; i parlamentari sono zombie o amebe; le operazoni di guerra finiscono dentro a reality show; l’esercito finché gli servi ti è amico; i civili son pecore nel migliore dei casi o nel peggiore terroristi che minacciano l’integrità del Paese.

“Red. La prima luce” è un romanzo che può esser letto come autoconclusivo, sebbene abbia un finale aperto e sia il primo di una trilogia. Se vi rimane la curiosità di scoprire cos’è quel Red che da bravo MacGuffin anima tutta la trama, portando scompiglio non solo nella vita e nella testa del protagonista ma in tutto il mondo, vi consiglio di acquistarlo per indurre l’editore a tradurre gli altri due episodi. Potreste avere difficoltà a trovarlo sugli scaffali, Mondadori ha deciso di pubblicarlo nella nuova collana Oscar Fantastica, dedicata soprattutto alle ristampe di Cassandra Clare e George R.R. Martin, credendo forse di dargli così più visibilità. Speriamo non l’abbiano viceversa occultato agli occhi di chi vuol leggere della “semplice” fantascienza. Immagine di copertina stupenda a firma di Larry Rostant.

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Alfred Bester The Stars My Destination o quante edizioni digitali può avere la stessa storia?

Due ebook di Alfred Bester o uno solo?

Due ebook di Alfred Bester o lo stesso ebook?

Libri cartacei o digitali è quasi una dicotomia superata. A inizio XXI secolo sappiamo che le storie che vogliamo leggere sono compresse dentro una risma di carta o all’interno di un file, a seconda delle nostre esigenze possiamo scegliere l’uno o l’altro contenitore, decidendo se avere quindi una libreria fisica o digitale. Questo cambio di paradigma impone però agli editori di fare attenzione quando digitalizzano un libro. Ogni tanto inciampano in qualche incidente, disattenzioni editoriali veniali che potrebbero però allontanare dalla lettura (elettronica) nuovi e vecchi lettori. Potrebbe capitarvi di comprare due ebook scoprendo che si tratta dello stesso ebook.

Esaminiamo un caso particolare, il romanzo di fantascienza “The Stars My Destination” (1956) di Alfred Bester, se vi interessano notizie sulla trama vi rimando al post di Massimo Luciani su netmassimo.com. Può darsi che qualcuno di voi scoprirà questo autore per via del sofferto – se ne parla dagli anni Novanta, vedremo se andrà in porto – prossimo adattamento cinematografico di questa storia. Tornando alla sua storia editoriale italiana, riprendendo l’edizione inglese, che riportava il titolo alternativo “Tiger! Tiger!”, La Tribuna Editrice lo pubblica per la prima volta nel 1966 con la traduzione di Luciano Torri intitolandolo “La tigre della notte” .

Le edizioni Nord lo ripubblica nel 1976, sempre nella versione di Torri, il titolo però a questo punto cambia e diventa “Destinazione stelle” riprendendo quel “The Stars My Destination” sotto il quale il romanzo è conosciuto negli USA, di ristampa in ristampa arriviamo a metà anni novanta.  Nel 2000 la storia approda per la prima volta in Mondadori – l’editore di tutte le altre storie di Bester in Italia – e si avvale di una nuova traduzione per i Classici Urania, a cura di Vittorio Curtoni, intitolata “La tigre della notte” come l’edizione del 1966. Vi gira la testa? Un po’ anche a me, tenete però conto che i primi ad aver confuso le carte sono stati gli editori inglesi e americani di Bester.

In Italia a questo punto esistono due traduzioni con due titoli diversi pubblicate da due differenti case editrici; nulla di male, se siete dei patiti della fantascienza potreste anche essere contenti. Tuttavia l’inghippo è dietro l’angolo, le edizioni Nord non ripropongono più la loro edizione mentre Mondadori decide nel 2014 di ripubblicare negli Oscar la storia di Bester, sempre nella traduzione di Curtoni, col titolo… “Destinazione stelle”. In edicola posso comprare “La tigre della notte” (Urania Collezione) e in libreria “Destinazione stelle” (versione Oscar). Tutto ok? Non esattamente. Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse stata nel frattempo inventata l’editoria elettronica.

Diversamente dal libro cartaceo, a parità di contenuto, non ha senso che un libro digitale abbia un’edizione di lusso, un’edizione economica o un’edizione speciale particolare per un certo canale di vendita. Se il contenuto non cambia è corretto nei confronti del lettore presentargli la stessa storia con una veste differente? Mondadori sta vendendo consapevolmente “The Stars My Destination” in digitale con due titoli, due copertine e due prezzi diversi – la versione Urania Collezione 2013 costa 3,99 euro, la versione Oscar I grandi della fantascienza 2014 costa 6,99 euro – sebbene il contenuto sia identico? Vale l’obiezione che appartengono a due collane differenti?

Mentre in commercio esistono due versioni elettroniche identiche di “The Stars My Destination/Tiger! Tiger!”, il suggerimento per Mondadori è convertire in formato digitale i romanzi di Bester che attualmente non sono più disponibili in formato cartaceo – come “L’uomo disintegrato” (1952), “Connessione computer” (1975), “I simulanti” (1981) e “Psyconegozio”, uscito postumo nel 1998, terminato da Roger Zelazny – e di decidere quale delle due edizioni tenere a scaffale nelle librerie elettroniche italiane. Se vi sembra normale che siano disponibili entrambe in contemporanea ditemi la vostra nei commenti, sono davvero curioso di sapere la vostra opinione.

Immagine | ebookstore Kobo

 

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Violetta Bellocchio, Il corpo non dimentica, attenti se pensate che niente possa minacciarvi

Il corpo non dimentica di Violetta Bellocchio

Il corpo non dimentica di Violetta Bellocchio

Il corpo non dimentica di Violetta Bellocchio
Mondadori, 2014 (edizione digitale), 9,99 € (ebook), 17 € (libro)

«Noi accettiamo di diventare dipendenti da qualcosa perché la dipendenza è vita allo stato più puro: la dipendenza è sangue e ossa e seme e acqua, denti e sudore, pelle, fuoco; la dipendenza ci fa stare in ginocchio davanti a qualcosa che non capiamo».

C’è una spina al contrario sulla copertina di questo ebook, una spina che invece di protendersi verso l’esterno a protezione dello stelo, lo punge. Una spina che non risponde più all’esigenza di difendere la pianta ma la ferisce, o meglio, riconoscendo alla rosa una propria volontà siamo di fronte a un essere vivente che scientemente si fa del male. In natura a quanto pare c’è solo l’uomo che consapevolmente tenta di distruggersi (non parlo di lasciarsi morire, quello lo fanno anche gli animali). Bellocchio ci racconta proprio di questo, di quando rinunciamo a stare al di qua dalla linea gialla, perché dall’altra parte si è troppo vicini ai binari e il treno che passa potrebbe risucchiarci sotto, maciullandoci.

Fatevi un favore e leggete questo ebook, se non intendete comprarlo perché non vi piace la copertina – io l’ho capita solo dopo aver letto la storia narrata da Bellocchio – prendetelo in biblioteca; potreste anche non aver piacere di avere in casa o sul proprio ereader un racconto così. Così come? Materico, come quando a passeggio per strada eviti una macchia di vomito sul marciapiede. Ci siamo capiti? Non è un libro innocuo “Il corpo non dimentica”. Non è semplice stare ad ascoltare una donna che ti spiega come un bicchiere d’alcol, con tanti saluti alla tradizione italiana del vino in tavola, possa influenzare fino quasi ad annientare l’esistenza di una persona, come una bottiglia in una giornata possa essere “poco”.

Se dopo le due righe che ho messo insieme sopra state pensando: “Dai su, sbronzarsi ogni tanto come può essere un problema?” leggete questo ebook. Se siete tra gli approfittatori di sfortunate amiche che alzano un po’ il gomito leggete per la prima volta una che vi conosce: “Ci sono altri ragazzi, sempre, che gravitano intorno a me, perché loro questo fanno: gravitano intorno a quelle come me. È la natura”. Se vi è venuta in mente almeno una persona che secondo voi beve troppo scorrete ascoltate Bellocchio quando vi chiede perché non siete intervenuti, perché avete lasciare quella vita andare in nero come scrive lei: “Quanto vi facciamo piangere, per trenta secondi, quante risate vi abbiamo fatto fare”.

Non è la storia di una redenzione “Il copro non dimentica”, assomiglia molto di più alla narrazione di una presa di coscienza. Poteva scomparire Bellocchio, apparire fra qualche anno troppo giovane con nome, cognome, parenti e colleghi dolentissimi nelle pagine dedicate ai necrologi del Corriere – una delle tante morti legate all’alcol che ignoriamo – però, in un mondo che rincorre la felicità, ha trovato nella rabbia, in una forma di rabbia “buona”, la motivazione giusta per smettere. Per continuare a smettere se mi permettete l’espressione, perché come spiega bene Bellocchio, pensate davvero che se siete stati alcolisti potete tornare a non esserlo? No signore.

E poi, soprattutto, l’autrice a mio giudizio mette in risalto quel che perdiamo se siamo dipendenti da qualcosa: il tempo. Se siamo fortunati e siamo assogettati a qualcosa che almeno non danneggia il nostro corpo sprechiamo comunque una parte della nostra vita, quando abbiamo una dipendenza. Ore, giorni, anni che nessuno ci ridarà mai. I libri non ti cambiano la vita ma le testimonianze come quelle di Bellocchio ti rendono più consapevole di quel che ti circonda. E se quel che ti sta attorno sono tante persone che bruciano di una fiamma invisibile magari questo ebook vi aiuterà a scorgerne il bagliore, poi dovrete decidere voi che fare. Buona lettura.

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Vanni Santoni HG, Terra Ignota: le figlie del rito, quando le dee sognano inzia un’altra era

Terra ignota: le figlie del rito di Vanni Santoni HG

Terra Ignota: le figlie del rito di Vanni Santoni HG

Terra Ignota: Le figlie del rito di Vanni Santoni HG
Mondadori, 2014, 4,99 €

«Si sarebbe poi detto, in altri luoghi e mondi dove filtrò l’eco di quell’era e di quel mondo, che in quel periodo errabondo Ailis del Villaggio Alto compì molte grandi gesta».

Sapete già che Vanni Santoni lo conosco di persona quindi siete di fronte a una recensione trasparente, ho ricevuto l’ebook gratuitamente e l’autore mi sta simpatico, siete avvertiti 😉 Dopo “Terra Ignota: il risveglio”, ne ho scritto in questo post se volete rinfrescarvi la memoria, il progetto fantasy del poliedrico scrittore di Montevarchi prosegue con “Terra Ignota: le figlie del rito”, un secondo capitolo cui Mondadori ha regalato una copertina spettacolare se tenete conto di queste cose: cinque giganteschi serpenti che imparerete a conoscere bene leggendo questo romanzo.

“Terra Ignota: le figlie del rito” vi avviso subito è una corsa verso il Ragnarök, in barba ai miei consigli – in quel di Lucca Comics 2013 gli consigliai di fare di Terra Ignota una miniserie, magari a fumetti – Santoni invece di rallentare la prosa mette la quinta, o addirittura la sesta, evolvendo i personaggi principali della storia fino al livello di vere e proprie divinità. Allontanandoci un secondo dalla letteratura fantasy se avete mai letto Drangoball Z forse capirete cosa intendo: Ailis, Brigid, Lorlei e Morigan (le protagoniste) diventano nel corso della storia sempre più forti, tanto da decidere il destino di questa terra del Sogno.

Anche in questo episodio Ailis viene coninvolta in una “cerca”, forse quella più importante di tutte, quella di cercare e comprendere chi veramente è, mentre tutti intorno a lei sono forse fin troppo consapevoli (specie le sue sorelle, le figlie del rito) di quel che sono e di che cosa vogliono; in questo senso Ailis è anche il personaggio meno umano (e contemporanemente il più umano…) di Terra Ignota. A un certo punto se lo chiede anche lei, “Non siamo più… persone?” “Non lo siamo mai state” le risponde Brigid. E in un certo senso è vero dato che Ailis è l’incarnazione della figura dell’eroe così come lo cantiamo da millenni.

Parlavo di un precipitare degli eventi; non è solo un’impressione mia, viene anche esplicitato nel corso della lettura. Quando Ailis incontra il cavaliere Kai, ecco come le si rivolge: “Il fatto è che il mondo come lo conosciamo sta finendo, e se già prima le potenze si chiamavano, si attraevano, adesso tutto precipita: come in fondo a un setaccio o a un imbuto, tutto ciò che conta si aggrega e si ritrova”. Questo è vero per tutte le saghe fantasy – duravano anche più di cinque libri ricordate? – ma di sicuro in questo secondo volume la risoluzione degli eventi viene accelerata.

Come avete intuito “Terra Ignota: le figlie del rito” mi è piaciuto ma è volato via troppo velocemente. Qualcuno dirà che non è giusto, che di carne al fuoco ce n’è tantissima (ed è vero), che è per colpa del digitale che i miei occhi non hanno voluto soffermarsi sui personaggi, sulle descrizioni di terre favolose e arcane, che ci sono decine di citazioni disseminate da Santoni che simili all’etere avvolgono tutto questo libro al pari del precedente, che se l’avessi letto su carta lo avrei gustato di più, che va bene così, che è lecito chiudere un mondo in questo modo… Solo che a essere lettori di fantasy si diventa avidi di storie ^___^

Fatta salva la premessa (speriamo che Santoni non voglia chiudere qui questa sua parentesi fantasy, che qualche editore lo convinca a versare ancora sangue su queste terre del Sogno!) “Terra Ignota: le figlie del rito” ha in realtà come protagonisti gli uomini, non tanto le quattro (?) dee di cui vi ho scritto. Se si esamina la catena di eventi messi in moto dall’autore è l’umanità che sembra concorrere alla sua distruzione (?), prima per la brama di potere di H.H., poi per quella di un altro personaggio che purtroppo non posso rivelarvi senza rovinarvi il piacere di scoprirlo da voi.

In conclusione, Terra Ignota (entrambi i volumi) è un caleidoscopio che ci mostra in poco più di ottocento pagine come si possa creare un mondo fantastico “italiano” rispettando tutte le regole del genere; lo consiglio, leggete questo ciclo in due volumi prima di una saga di un autore USA sconosciuto qualsiasi e discutiamone qui fra i commenti se volete. Ripropone tra le altre cose un quesito caro al fantasy e alla fantascienza, se voi foste un dio, come vi comportereste nei confronti degli uoomini?

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Vanni Santoni HG, Terra Ignota: Risveglio, un affresco fantasy italiano nel quale perdersi

Terra Ignota: Il risveglio di Vanni Santoni HG

Terra Ignota: Risveglio di Vanni Santoni HG

Terra Ignota: Risveglio di Vanni Santoni HG
Mondadori, 2013, 9,99 €
Reading Life: 15 minuti ogni sessione, 5 ore di lettura, 1250 pagine girate, 3.8 media pagine per minuto

«Aveva esplorato ogni paese e imparato la saggezza; visto misteri e conosciuto cose segrete. Era una dei Dodici, e i Dodici erano lei; il Sogno riverberava dall’Imperatrice in lei e nel mondo, e lei stessa dell’Imperatrice era l’occhio e la mano: era, mentre cavalcava, il mondo stesso e lo spazio e il tempo; nel passo del suo cavallo e nella linea del suo sguardo erano ogni orizzonte e strada, e il termine e l’inizio di tutte le storie».

Ho conosciuto Vanni Santoni via email qualche mese fa per lavoro; nel frattempo ho anche avuto modo di leggere la sua narrativa – Personaggi precari (di recente ripubblicato da Voland); Gli interessi in comune; Se fossi fuoco, arderei Firenze –, storie ben congegnate ambientate nel nostro tempo e nel nostro mondo. Non di sola realtà però vive lo scrittore ed ero stato contento di saperlo impegnato in un progetto fantasy sui cui lavorava da anni che avrebbe presto visto la luce per Mondadori nella collana Chrysalide.

“Terra Ignota: Risveglio” – uscito sia in cartaceo sia in ebook a fine settembre, Mondadori me ne ha fatto dono per questa recensione – conferma che i mesi trascorsi da Santoni a documentarsi sul genere, di cui certo da lettore (e da giocatore di GDR) non era a digiuno, non sono stati sprecati. Terra Ignota ci trasporta in un mondo di cui non possediamo la mappa ma impariamo ben presto le regole: siamo in un Medioevo imprecisato, dentro un paesaggio che riconosciamo familiare eppure esotico, dove convivono echi rinascimentali, città invisibili, cavalieri spietati e forze magiche potentissime.

Come nelle migliori tradizioni fantasy quasi da subito parte una “cerca” e il lettore viene trascinato, almeno in questo primo libro della trilogia, nelle avventure di un trio di ragazzini che conosciamo  mentre giocano alla periferia dei regni immaginati da Santoni. Gli eventi tuttavia precipitano presto: perché il Cerchio d’Acciaio ha distrutto la comunità del Villaggio Alto? Che fine hanno fatto Breu e Vevisa? Sarà Ailis, la ragazza sfuggita al massacro, che si assumerà il compito di entrare nel mondo (e noi con lei) per cercare i suoi amici e andare incontro, forse, al suo destino.

Lo stile di Santoni ci prende per mano sin dalle prime battute e ci conduce sicuro fino a una conclusione non conclusione che lascerà il lettore ormai avvinto in attesa dei seguiti – siamo di fronte a tutto tranne che a un libro autoconclusivo; assiteremo già in “Terra Ignota: Risveglio” a eventi straordinari ma siamo in fondo solo ai primi livelli, fossimo in un videogioco, o nelle stanze del foyer di un castello affrescato che avrebbe bisogno di molto più che mille pagine (questo primo episodio ne ha “solo” 324) per essere sviluppato a dovere.

Perché dovresti fidarvi di questo giudizio positivo? Perché ho giocato a D&D anch’io – oltre che a Magic – e quando incontro un dungeon master che le storie le sa narrare devo riconoscerlo; perché leggo narrativa fantasy (più fumetti e graphic novel, va da sé) da una ventina d’anni e finalmente un mio coetaneo (Santoni è del 1978, il sottoscritto del 1980) ha divorato e rielaborato l’immaginario fantastico proprio di una generazione vissuta a fumetti della Granata Press, cartoni animati, Dragon Lance, Final Fantasy e i videogiochi di Fumito Ueda solo per citarne alcuni e l’ha fermato sulla carta in un progetto narrativo coerente. Non pensate che sia facile.

Santoni-Lucca2013

Grazie a Mondadori sono poi riuscito a parlare della trilogia con l’autore in persona (in alto nella foto) insieme ad altri blogger e Alan D. Altieri nei giorni di Lucca Comics 2013 in una tavola rotonda in piazza Antelminelli coordinata per l’occasione da un personaggio che il fantasy non lo legge, eFFe.

Ho potuto così chiedergli le ragioni di un’assenza significativa sia nel libro sia nell’ebook… non c’è la mappa! È proprio una terra “incognita” quella di Santoni. Ci ha detto che non è presente perché 1) così ha evitato un cliché 2) persino Tolkien ebbe i suoi problemi con le cartine – leggere per credere The History of The Hobbit di John Rateliff – 3) ritiene che siano molto potenti, pure troppo, nella creazione dell’immaginario da parte del lettore e ha preferito lasciarlo libero da qualsiasi condizionamento.

Altri temi che sono stati dibattuti: i nomi presenti in Terra Ignota. Non credete che siano stati scelti a caso! Ogni personaggio o luogo, potremmo arrivare a dire anche le costruzioni di intere frasi, ha una denominazione esatta (o mascherata) che rimanda ai temi che muoiono e rinascono in ogni libro fantasy che si rispetti; si torna sempre al mito, dall’epopea mesopotamica alle narrazioni indiane, dal ciclo arturiano alla letteratura fantastica e non degli ultimi secoli. Tanta erudizione – colta dal lettore più smaliziato – rafforza la trama senza spezzarla.

Ancora, per capire “come nasce” un fantasy: l’episodio del Jörmungandr che il lettore incontrerà solcando i mari di Terra Ignota è balzata alla mente di Santoni durante le feste natalizie 2010/2011 quando gli regalarono un volume della serie definitiva di Sandman a firma di Neil Gaiman; impossibile resistere alla tentazione di scrivere al volo quella scena per poi costruirci intorno il resto della storia (influenzato in questo dalla modalità di scrittura collettiva sperimentata in un’altra opera coordinata da Santoni: In territorio nemico).

Siamo però di fronte a un pastiche fantasy come suggerito da eFFe? Un romanzo costruito per accumulo di stereotipi del fantastico? No, soprattutto perché la vicenda che coinvolge le quattro protagoniste femminili – Ailis, Brigid, Lorlei e Morigan – (bene sottolinearla questa caratteristica, come fa Andrea Curreli in un suo post-intervista a Santoni su spettacoli.tiscali.it, sono le donne a portare avanti la storia di Terra Ignota sebbene comprimari maschili ben tratteggiati non manchino, Val su tutti) si legge a prescindere dagli omaggi e dalle strizzatine d’occhio. Si è “risvegliato” un altro mondo, quello di terra Ignota; non vedo l’ora di vedere come lo trasformeranno i suoi personaggi e i suoi lettori.

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Eraldo Affinati, Elogio del ripetente, in cerca dei tamburini che si sono smarriti

Elogio del ripetente di Eraldo Affinati

Elogio del ripetente di Eraldo Affinati

Elogio del ripetente di Eraldo Affinati
Mondadori, 2013, 4,99 €
Reading Life: 36 minuti ogni sessione, 1.8 ore di lettura, 218 pagine girate, 2.0 pagine al minuto

«Per riuscire a creare la concentrazione in un quindicenne demotivato, la cui autostima è pari allo zero, bisogna realizzare una piccola impresa. Innumerevoli sono le sconfitte. Però ci sono anche le vittorie: quelle che nessuno vede, da cui nascono i cittadini del futuro».

In quanti hanno raccontato la scuola del nostro Paese? In tanti, sin dall’Unità di Italia ora che mi ci fate pensare. Allora perché leggere un’ennesima riflessione? Non ce ne sono già abbastanza? Non hai letto Starnone e Mastrocola ecc.? Lo ammetto, ero diffidente, avvicinarmi a questo ebook di Eraldo Affinati non è stato semplice, poi non ho mai amato i ripetenti mentre sin dal titolo l’autore chiarisce come a lui stiano simpatici: “Tuttavia già allora [all’inizio della sua carriera come professore, ndr] mi sentivo spinto verso i più negligenti”.

Eppure ogni epoca ha un modo diverso di raccontare quel che accade nelle aule scolastiche e se a farlo è una buona penna come quella di Affinati non c’è che da goderne. “Oggi i ragazzi sono lasciati nel vuoto dialettico, privi di ostacoli da superare. I loro insegnanti restano gli unici ormai a doverli richiamare ai valori della serietà, del rigore e della concentrazione in una società che punta sulla bellezza, sulla sanità [sic! ndr] e sulla ricchezza”, scrive Affinati, l’eterno lamento della classe insegnante? Non proprio, la fotografia impietosa di uno stato di fatto, probabilmente.

L’autore del resto non è indulgente neppure verso la sua categoria se afferma che “troppo spesso i ragazzi hanno di fronte individui eternamente giovani, i quali si illudono di poter ancora cambiare. Ecco perché insegnare significa viaggiare nel tempo: fuori e dentro se stessi”.  Chi sono allora i ripetenti? I punti più sensibili di un’epidermide – il nostro Paese in divenire – che sa di essere lacerata, che distrugge se stessa emarginando i più deboli invece di integrarli, e non parliamo solo degli insegnanti che gettano la spugna ma anche dei compagni di classe che li lasciano andare a fondo.

I ripetenti, scrive Affinati, non sono né stupidi né sprovveduti, hanno anzi “una sorprendente capacità di autoanalisi” dei loro comportamenti autolesionistici; i perdenti manifesti – perché è facile intuire dalle riflessioni dell’autore che l’immensa massa dei perdenti occulti, i mediocri, sia per lui ben più preoccupante – sfoggiano di fronte a chi chiede loro le ragioni di un due o un banco rovesciato “[…] un sorriso irripetibile di stupore e meraviglia. Se io fossi capace di decifrarlo, potrei anche fare a meno di scrivere questo libro, perché dentro le mie parole ci sarebbe tutto lo spirito del ripetente”.

Se nella scuola di un Paese puoi riconoscerci una nazione intera è inutile interrogarsi tanto su “cosa sia accaduto nella testa degli scolari, grandi e piccoli” perché “non si sa. […] Noi rimbocchiamoci le maniche e mettiamoci al lavoro. Lo stanno facendo in tanti in questo Paese malato, non solo a scuola, anche se non vengono illuminati dalla luce dei riflettori”. Volete una ragione per leggere Elogio del ripetente? Ve ne do una, è un testo ottimista anche se parla del sistema educativo italiano. Poi magari potrete non essere d’accordo con le tesi di Affinati ma quel di cui abbiamo bsogno oggi è costruire, partendo amgari da chi non ce l’ha fatta la prima volta.

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Amazon contro Mondadori, perché Kobo ce la può fare contro Kindle

Libreria Mondolibri di Belluno, in via Mezzaterra insieme ai libri anche Kobo

Resistere è inutile? Perché l’egemonia di Kindle potrebbe non essere così scontata in Italia dopo l’arrivo dell’ereader Kobo by Mondadori. Qualche giorno fa su Twitter ho avuto uno scambio con Francesca Mazzucato: “Sarà molto presto la storia di un tentativo fallito, ambizioso, tenace ma non all’altezza”. Alle mie garbate rimostranze – le suggerivo di non prendere sottogamba non tanto Kobo quanto Mondadori – ha aggiunto: “Io non sottovaluto. Non mi permetterei mai. Ma ho molto intuito e un pochino di esperienza. Sarà il ricordo di un fallimento”.

Ecco, non fraintendetemi, non sono un analista, un esperto di tecnologie, sono solo un uomo curioso che con i libri ci lavora da nemmeno dieci anni. La mia esperienza di lettore digitale è iniziata un anno fa con Kobo, brand cui mi sono affezionato (e di cui vedo i limiti insieme ai pregi); se avessi capacità predittive farei di tutto per entrare in un’azienda IT oppure ne fonderei una io stesso domani. Detto questo, perché credo che il lettore candadese ce la può fare contro Kindle? Perché in via Mezzaterra in centro storico a Belluno Kobo si trova.

Belluno è una città capoluogo di provincia di 36.000 abitanti che nella cartina del nostro Paese sta in alto a destra per intenderci, in genere le persone se la lasciano alle spalle in fretta per raggiungere le Dolomiti. Peccato, perché anche solo una mezza giornata trascorsa per le sue vie farebbe loro scoprire una cittadina davvero graziosa. Belluno ha inoltre una concentrazione di librerie notevole per le sue dimensioni, tra le ultime ad avere aperto c’è anche la Mondolibri – appartenente al circuito di punti vendita legato a Mondadori – di Edda Sartori.

La libreria era indicata come “punto di ritiro” di Kobo e sabato 6 ottobre ho deciso di andare a dare un’occhiata. Ho scoperto che non era possibile solo ricevere il lettore dopo averlo ordinato, no, era già disponibile il Kobo Touch! Potrà sembrarvi irrilevante, un’occorrenza piccola piccola, una cosa davvero di poco conto. Ma è così che tutto inizia sempre: dal molto piccolo (cit.). Ed ecco anche perché Kobo insieme alla rete distributiva di Mondadori potrà dare filo da torcere ad Amazon – avete visto a proposito Jeff Bezos ieri sera al Tg1? Sì, vogliono far capire che sono arrivati.

A prescindere da chi “vincerà”, se Amazon o Kobo, sarà infatti una guerra di visibilità quella che si scatenerà questo autunno a tutto vantaggio della lettura digitale in Italia; poche minuti fa ho visto per la prima volta lo spot “Chi è Kobo?” andare in onda dopo il Motomondiale su Italia Uno. E sapete quante persone guardano la televisione nel nostro Paese, molta di più di quella che naviga in internet. Se i cittadini si abitueranno che il loro lettore è Kobo ed è possibile trovarlo comodamente nel punto vendita sotto casa (vedi Belluno descritto sopra), Amazon ne soffrirà.

Infatti chi ha mai detto che Kindle debba essere il vostro lettore? Come diceva Han Solo: “Nessun campo di energia mistica controlla il mio destino”, tantomeno Amazon. Mondadori grazie alla sua forza e alle risorse che può mettere in campo – leggete a proposito Kobo in Italia, inMondadori la visita in libreria, un reportage preciso e completo del corner Kobo presso la Multicenter di piazza Duomo a Milano – ha buone probabilità di avere in questi ultimi mesi del 2012 un vantaggio competitivo nei confronti di Amazon, proponendo alle masse Kobo come il lettore “più facile”.

Su Twitter il punto forse l’ha colto @afazzini: “Ho chiesto al demoman Mondadori i vantaggi rispetto a Kindle. Risposta: sono identici!” Ed è vero, come anche ho scritto in “Kindle Paperwhite e Kobo Glo, chi ha detto ereader diversi?” ad esempio – se escludiamo che la luce del nuovo lettore di Amazon è più “bianca” (Dash insegna che il bianco è importante) – anche i modelli illuminati frontalmente di entrambe le case si equivalgono. Al lettore interessato ad avere uno store on-line a portata di click non resta che scegliere (per non parlare poi di altri lettori dove questo è comunque possibile come Leggo di IBS ecc.).

Immagini | lettoredigitale.com

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